Quando, nel VI secolo i Longobardi, emersero dagli aspri passi montani del Nord Est da una terra chiamata Pannonia, videro una penisola taliana in completa rovina, devastata dalle crudelli guerre greco-gotiche, da interminabili alluvioni e carestie raccontate dai cronisti dell’epoca con toni davvero spaventosi. Seppure la loro permanenza fu perennemente martoriata da conflitti con i popoli dell’Impero Romano d’Oriente, il loro spirito guerriero gli permise di ritagliarsi grandi territori a colpi di fendenti di spada. Era il periodo dei ducati longobardi, culture che lasciarono un profondo segno nei territori ad Ovest delle paludi malariche di Nonantola, sotto forma di parole entrate nel linguaggio corrente, frammenti di codici legislativi, e la bella vacca Rossa Reggiana che, vuole la leggenda, accompagnò questi popoli durante le migrazioni.
Seppure questa vicenda non sia mai stata completamente confermata (la genetica è una scienza molto complessa), testimonianze di una razza color grano (formentino, si dice nel linguaggio della campagna) risalgono a diversi secoli fa e accompagnano la vita di un prodotto che, soprattutto in questi giorni, fa parlare di sé in Italia e nel mondo: il formaggio di tipo grana (chiamato per via della granulosità della sua pasta “a roccia”), diffuso già a cavallo dell’anno 1000 in tutta la Longobardia (Emilia e Lombardia odierne, più o meno). Questo formaggio dalla pasta dura e resistente avrà modo nei secoli successivi di cambiare forma e lavorazione, che in periodi anche molto recenti prevedeva una complessa gestione dell’alimentazione delle vacche, passando dalla dieta primaverile dei primi sfalci umidi, anche se ricchi di fiori e olii (il cosiddetto formaggio maggengo) a quella invernale, che portava ad un formaggio più semplice da manipolare. Sul Parmigiano Reggiano torneremo più avanti, ma come potete immaginare non era possibile parlare della Rossa Reggiana senza parlare del re dei formaggi stagionati, che nella sua versione Vacche Rosse, come viene chiamato oggi, ne rappresenta indubbiamente l’eccellenza.
Questa vacca di colore rossiccio non era l’unica della regione. C’erano anche altri animali simili nel Rinascimento, anche nelle zone tra Bologna e Ferrara, ad esempio, ma la popolarità del formaggio di grana delle zone che andavano da Lodi a Modena ha fissato nei secoli l’attenzione in particolar modo su questa razza. Grana Lodigiano e Grana Reggiano/Parmigiano nell’Ottocento passarono attraverso numerosi scontri legali e burocratici, ma la Rossa rimase sempre un punto fisso della produzione, affiancate da razze di montagna e a fine di quel secolo anche da quella che sarebbe diventata la nostrana Bianca Val Padana, per altro derivata anche essa dalla Rossa Reggiana.
Non è difficile pensare addirittura che fosse la presenza stessa della Rossa Reggiana nelle stalle dei produttori di Reggio Emilia e città limitrofe uno dei motivi principali per cui si è venuta a creare, nel corso del tempo, una nomeclatura precisa per distinguere il grana lombardo da quello reggiano.
Il motivo del prestigio e della persistenza della Rossa Reggiana nelle stalle per un millennio e passa è dovuto alle grandi qualità di questa razza. Un latte che meglio si adatta alla caseificazione, un’animale rustico, resistente, adatto anche a lavorare nei campi, longevo. Recenti studi scientifici hanno persino riscontrato nel latte di questo animale caratteristiche che lo rendono esente da alcuni effetti infiammatori dei latti di altre vacche cosiddette cosmopolite. Queste ultime razze, per lo più gli animali “bianchi e neri”, sono rappresentate da animali ipertiroidei spinti per la loro breve vita a produrre quantità mostruose di latte per sostenere la produzione di formaggio in tutto il mondo occidentale. Da duecento anni questi animali originari dell’Olanda vengono impiegati per la loro grande produttività ma è dal secondo dopoguerra che hanno cominciato a mangiare terreno anche nei confronti delle nostre razze autoctone, con il rislutato che Anna, qui sopra, è ancora capace di svolgere la sua funzione all’età di 9 anni, mentre metà della sua età la maggior parte delle Frisone Italiane sono pronte per essere trasformate in carne in gelatina dallo stabilimento Cremonini.
Il latte di Rossa Reggiana meriterebbe un articolo a parte, come il Parmigiano Reggiano, ma concludo questo breve articolo di introduzione alla razza con una speranza. Da meno di 1000 capi questa razza è stata portata quest’anno a quasi 5000, ed è oggi parte grazie ad ANABoRaRe anche di un progetto universitario di ricerca chiamato Dual Breeding per la valorizzazione e l’analisi di questa razza non solo per approfondire la conoscenza sul suo latte (grandi passi avanti sono stati fatti ad esempio sulla tracciabilità di prodotto) ma anche introducendo tecniche sofisticate per migliorarne la genetica come animali da carne.
Mi auguro che questo animale possa rimanere con noi altri 1500 anni se riusciremo a uscire dal catenaccio delle politiche agricole del dopoguerra.
Scheda della Vacca Rossa Reggiana