Attila, re degli Unni, sarà stato anche simbolo indiscusso di atrocità, “terremoto e traccetia“, ma persino lui dovette battere in ritirata contro il magister militum Aezio, al comando di un agguerrito stuolo di Goti e Germani, a metàdel V sec. nella cruenta battaglia dove perse la vita anche Teodorico I, re dei Visigoti. A me piace pensare che negli accampamenti romani in Gallia, all’interno dei contuberni (tende) dove i milites condividevano pasti e piani di guerra, ci fossero anche vasi colmi di mele Decie. rosse, acide, profumate, e resistenti come i soldati dell’Imperium. Magari anche loro le tenevano a maturare sulla paglia, al sole.
La teoria che la mela Decia provenga da questo grande generale (mela “d’Ezio”) non parrebbe purtroppo essere la più quotata però. Ci sono fonti sparse che documentano la presenza di questa mela nella zona di Ravenna capitale quasi centocinquant’anni prima, durante il governo di Decio. In ogni caso, parliamo di una varietà di frutto che avrebbe almeno 1600 anni, anche se probabilmente molti di più, e già presente sulle tavole dei Romani prima della caduta dell’Impero d’Occidente in pieno periodo di quell’anarchia militare che sarbbe poi stata calmierata da Diocleziano.
Mostruosamente rustica e resistente sia a sollecitazioni (immaginiamo il trasporto) che a diversi patogeni, il Decio ha, come tante altre varietà svilite da quelle dal maggior valore commerciale negli ultimi decenni, goduto di grande popolarità fino ad inizio secolo. Gallesio, di cui parleremo sicuramente più avanti, cita il Decio tra le varietà più diffuse nella zona di respiro Estense a nord dell’Appennino, tra Ferrara, Modena e Reggio Emilia. La sua diffusione arrivò fino al Veneto, dove è tutt’oggi considerata autoctona e custodita da un gruppo di coraggiosi agricoltori custodi in provincia di Verona. Non è dissimile per forma e metodi di maturazione dalla campanina, con la quale condivide anche il caratteristico frutto “doppio” come le campane (tant’è che è talvolta chiamato anche Decio Campanino). Profumata ed ottima se cotta, la prossima volta che la asseggerete pensate che èlo stesso sapore e lo stesso profumo che sentivano anche i Romani dell’Impero.