Nei primi anni del Novecento, l’Emilia-Romagna, o meglio il territorio che lo sarebbe diventata, era terra di varie culture vinicole. Tra queste, Parma e Bologna si distinguevano per i loro vini bianchi, mentre altre zone erano a prevalenza coltivate a varietà rosse. Possiam andare indietro millenni a cercare le prime menzioni di varietà locali, si pensi alla Prusinia modenese, ma senza spostarci così indietro penso valga la pena soffermarsi sulle decine di varietà più o meno dimenticare dall’economia agroalimentare moderna (io penso anche per via di politiche acricole ben definite, ne parleremo).
Esiste un intero universo di vitigni che andrebbero rivalutati nell’ottica delle moderne tecniche enologiche e chissà che un’uva che De Crescenzi valutava di poco conto nel 1300 oggi non possa essere utilizzata per spumanti o taglio per altri vini? D’altronde la tecnica degli uvaggi (mettere assieme più varietà) era popolare e anzi era forse l’unico modo di fare buon vino nel territorio bolognese di cui oggi trattiamo. E non solo bacca bianca con bianca e vice versa, si parla. Si pensi alle popolari combinazioni Negretto-Sangiovese-Albana o -Alionza comuni a inizio Novecento. I migliori produttori di vino ancora oggi operano, tristemente di nascosto, tagli con uve talora nemmeno registrate nel repertorio nazionale. Segreto malcelato che personalmente trovo pratica triste perché è un po’ come nascondere un talento.
Ma così funziona in questo Paese, pare.
Tornando a noi e alla coltivazione bolognese, sulla pagina Patreon trovate l’articolo corredato di note bibliografiche, su questa/e varietà di uva conoscita tra Piacenza e Bologna come uva ciocca (o nomi simili). Sin dalla prima notazione, Tanara nel Seicento le distingue già in Chiocca e Checca, che secondo Filippo Re, celebre agronomo reggiano del secolo successivo, sono da riferirsi a una antica varietà conosciuta come “strepens“. Ipotesi del tutto fantasiose mi hanno portato a pensare a vari significati e derivazioni etimologiche, che saranno almeno in parte chiariti quando avremo qualche analisi del DNA. Interessante che Tanara citi la Ciocca come “Bottona Ciocca”. Dal testo, che riporto qui sotto sembrerebbe un unico termine composto ma comincio a pensare che si trattasse di sinonimi, anche se Bottona è citata nel “Genetic Characterization of Grapevine Varieties from 2 Emilia-Romagna (Northern Italy) 3 Discloses Unexplored Genetic Resources” del 2020 come uva bianca da vino mentre la ciocca aveva un sicuro uso anche come uva da tavola, e il profilo genetico dello stesso documento smentisce questa ipotesi. Secondo lo stesso documento, Bottona potrebbe essere sinonimo di uva Tognona, un vitigno raro in vendita presso il vivaio Maioli di Salvaterra come uva da tavola e vino. Dall’Italian Vitis Database “Tognona è un’uva bianca da tavola coltivata un tempo nelle zone collinari della provincia di Reggio Emilia e ora molto rara. Casali, nel 1915, la cita con il nome dialettale Óva tugnòuna e Óva tògna, senza riportarne il nome italiano“.
Ma torniamo alla Ciocca. Dopo il Settecento, vari nomi si affastellano a creare confusione: Ciocchella, Cioccherella, Ciocchetta, Cuccolona, Ciocchellone, Cioccà e così via. Seguitemi un po’ e vediamo di che si parla.
Nella foto qui sotto, una foto di uva Ciocchella proveniente da un podere di Staggi di San Prospero dove viene coltivata almeno da 150 anni. Siamo ancora distanti dall’invaiatura ma si nota la forma della foglia. Secondo il proprietario della vigna, questa è un’uva ad acino ovale.
Qui sotto invece qualche foto della Ciocchella di Staggia, pianta più vecchia che ho trovato l’anno scorso, in un altro podere, purtroppo i grappoli sono stati fotografati a fine vendemmia ma si nota l’acino tondo.
Questa invece la ciocche(re)lla che viene coltivata nei colli bolognesi, pare simile anche se la foglia è diversa. Secondo il prof. Vincenzo Tedeschini, a Castelfranco Emilia esistevano comunque vari cloni di Ciocca (importante notare sempre i nomi che non corrispondono).
Interessante quindi notare il fatto che questa di Staggia è la più recente delle piante, che erano ad acino tondo come quella che oggi è a Bazzano nel bolognese. Ma la più vecchia vigna di Ciocchella (ova ciuchèla), è a chicco ovale!
Basta con le digressioni! Andiamo per gradi. Siamo a fine 1600, e Vincenzo Tanara scrive il celeberrimo L’economia del cittadino in villa. A quanto ho letto nel testo, Tanara non mi pare menzioni questa uva bottona ciocca come citerà Re. Tuttavia fa riferimento a un’uva bianca del Bolognese: la Checca. Da un testo dei Georgofili del 2011, la Checca è definita come “la migliore da passito” (agh!).
Il Mōtonego è della stessa qualità ma non si può lasciare sulle viti fino alla sua matura perfezione perché essendo buono da mangiare e conservandosi assai per l’inverno, viene rubato; non fa vino dolce ma sapido. La Malige e la Maluagia sono delle suddette qualità. L’uva Checca, Angela Paradisa sono le migliori che siano per conservarsi sopra le stuoie per l’inverno e la primavera che viene; di questa se ne manda quantità a Venezia e altre parti, le quali, così come la Vernazza, lo Schiavone e la Lugliaticella, che patisce di malumore, fanno vino buono che ha del dolce ma non vogliono molta acqua. La Leonza, il Barbosino, il Leutino, la Bagarella, la Forcella con poca acqua fanno vino picciolo e insipido. La Pomoria, Over Peregrina fa vino brusco, picciolo e dura assai. L’uva Lupina è la più triste di tutte poiché il suo vino non viene mai chiaro e avanti Maggio si guasta e fa guastare l’altra uva dove entra per compagnia.
L’economia del cittadino in villa, 1684
Passano settant’anni e compare un ditirambo, una specie di poesia, la cui paternità è attualmente dibattuta. Secondo alcuni fu scritto dall’abate Vicini, secondo altri dal Pincetti. Quel che ci interessa però non è la poesia in rima che cita tutte le uve del modenese (ricordiamo, che gli Este arrivarono a Modena dopo la devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa, solo pochi decenni prima) quanto le note a margine che ne fece Niccolò Caula. Caula descrive l’uva Ciocchella, citata qui per la prima volta con questo nome, come
poco buona, ma non però così cattiva come la Gradesana. Anche questa lascia nello spiccarsi del grano quel quel filetto, come la Gradesana: ha grappolo grande, grana rotonde, grosse e sode; è più dolce della Gradesana, e più saporita. Ed è uva parimenti più da serbarsi per mangiarla l’inverno, che da far vino.
I vini modanesi, 1752
Descrizione che sarà poi confermata da Agazzotti.
Prima di arrivare però al nostro sindaco-agronomo-commerciate di Colombaro di Formigine, mancano ancora cento anni. Esce, nel 1812, una pubblicazione dove Filippo Re (celebre botanico ed agronomo reggiano sul quale mi piacerebbe scrivere un articolo in futuro), menziona di nuovo la Ciocca riferendosi al testo del Tanara. In quel periodo Re aveva preso in gestione l’orto agrario dell’università di di Bologna, dove insegnava e fu rettore per un paio d’anni. Qui, nel testo intitolato “Rapporto a sua eccellenza il sig. ministro dell’interno sullo stato dell’Orto agrario della Regia Università di Bologna” cita diverse uve i cui nomi furono ripresi da testi di Tanara e di Pier De Crescenzi (altro importantissimo agronomo medievale bolognese). Nota però, e purtroppo qui condivido la sua frustrazione, che le descrizioni date da questi due sommi personaggi delle uve coltivate ai loro tempi non sono abbastastanza precise da poter capire se quelle piantate nell’orto fossero davvero le stesse da loro citate, seppur con nome simile. Qui nel testo Re e alcuni suoi colleghi affibbiano, spesso inventando, termini latini a queste piante, nel caso della Ciocca/Bottona con il termine di strepens.
Nel 1847 terminano le analisi che finiranno nei volumi pubblicati nel 1850 Statistica Generale Degli Stati Estensi. Qui vengono suddivise le uve coltivate a nord e a sud dell’appennino (ai tempi il Ducato comprendeva anche Massa Carrara). Tra quelle a nord di questi, spunta il nome della Ciocchella, tra le uve comuni (distinte da quelle fini, come Albana, Malvasia, Trebbiana e altre oggi meno conosiute o completamente scomparse.
L’anno successivo, nel 1851, esce un numero di una rivista di cronaca locale modenese, L’Indicatore Modenese, in cui si fa di nuovo menzione della Ciocchella ripetendo quando detto prima da Caula. Interessanti alcune considerazioni del giornalista, che menziona anche un testo che io non sono mai riuscito a trovare sui vini del territorio carpigiano. Scrivetemi se volete aiutarmi nella ricerca! Comunque, da notarsi la descrizione dell’uva Durella, apparentemente simile alla Ciocchella. Tre anni dopo, Luigi Maini (carpigiano) pubblica Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve coltivate e conosciute nelle province di Modena e Reggio Emilia, dal quale però non ho tratto molti dati ulteriori rispetto a quanto scritto in precedenza da Caula, su questa varietà.
Arriva l’unità d’Italia e essa il primo sindaco di Formigine, Francesco Agazzotti, pubblica il suo famoso Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il cav. avv. Francesco Aggazzotti del Colombaro, nel 1867. Agazzotti, commerciante di vino, ospita nel suo podere un grande campo catalogo dove raccoglie tutte le uve coltivate nel modenese, per sperimentare e analizzare nuovi metodi di produzione e altro, diverrà celebre anche per i suoi scritti sull’aceto balsamico tradizionale di Modena. Agazzotti menziona la Ciocchella con un sinonimo, Cuccolona o Capodega (alla posizione 54 del suo catalogo).
…la Schiava Bianca… annoverata di non serbevolezza pari alla Gradigiana, alla Ciuchella, Bermestone, alla Garofano…
Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il cav. avv. Francesco Aggazzotti del Colombaro
Ah! Non serbevolezza. Interessante perché il prof. Tedeschini cita la Ciocca del suo vecchio podere a Castelfranco Emilia come uva che si mangiava in inverno, appesa sui graticci. Quindi abbiamo un primo avviso che Ciocca Bolognese e Ciocchella sono due uve diverse.
Grappolo dei più grandi fra le uve coltivate nella provincia modenese: 30 centimetri di lunghezza e oltre 35 di circonferenza alla base della piramide a cui si conforma. Peduncolo ben fermo, grosso, cilindrico e verde; grappoletti ben disposti e scalarmi decrescenti.
Catalogo descrittivo delle principali varietà di uve coltivate presso il cav. avv. Francesco Aggazzotti del Colombaro
Acino sferico e dei più grossi di diametro, annuvolato, con rafe marcatissimo.
Buccia giallo cera vergine; non trasparente, coriacea e resistente, cosparsa della solita polvere bianca.
Sugo abbondante, acquoso, sdolcinato, ed un po’ agretto, aromatico, incolore.
Uva di nessuna distinzione, come vinifera; merita un posto tra le mangerecce, specialmente per l’addobbo delle mense sontuose dei nostri gastronomi, facendo bellissima mostra dei suoi grossissimi giallo dorati grani. Serve anche discretamente disseccata nel forno per la Quaresima. La vite non è molto coltivata, né offre alcuna particolarità riguardo alla sua coltivazione.
Una decina di anni dopo, nel 1877 esce un altra opera magna, il Saggio di una Ampelografia Universale per Giuseppe dei conti di Rovasenda. In questa opera spesso citata anche nelle schede ampelografiche, viene menzionata la Ciocchella come sinonimo di Signora Bianca. Da notare che nel testo è indicata, separatamente, anche una uva Cuccona e Cuccolona che Agazzotti considerava invece sinonimi di Ciocchella. Ho trovato curioso che nell’edizione francese del testo, sono citate una Ciocca Bianca nel bolognese (torniamo li) conosciuta anche (appelèè aussi) come Ciocchella o Signora Bianca nel modenese! Possibile sia nata qui la confusione? Comunque per completezza il testo francese cita anche una Cioclare Nera di Bobbio conosciuta anche come Cioccà (si, con l’accento). Anche qui la Cuccolona è invece considerata un’altra varietà.
Nel 1879 esce un Bollettino Ampelografico. Viene citata una Ciocà a bacca bianca, poco coltivabile, a Corte Brugnatella. La Cioclare, sempre a Bobbio è invece a bacca nera. Cioccalona e Coccalona sono a rispettivamente a bacca rossa e bianca, e sono coltivate a Codevilla e Rivanazzano. Accantoniamo per un attimo questa vaga assonanza. Compare di nuovo la Ciocca Bolognese in questa pubblicazione alla sezione Elenco dei Vitigni coltivati nel bolognese dove si trova menzione di uva Ciocchetta o Ciocca. Quindi abbiamo un sinonimo della Ciocca bolognese: Ciocchetta.
Nello stesso anno esce un altro volume, dove finalmente vediamo descritte con grande dettaglio tutte le varietà di cui stiamo parlando: contributi all’ampelografia modenese. Qui Malavasi cita una varietà che chiama Durone o Cicchellone, una Ciocchella Grossa conosciuta anche semplicemente come Ciocchella, e una Ciochella Gentile, migliore per il vino. Descrive la Ciocchella come “uva bianca mediocre ad acino grande, ellissoidico, a grandi grappoli”. Da questa descrizione dobbiamo ricordare la forma dell’acino, che a Staggia nella vigna più vecchia è appunto ad acino elissoidico, o “oliva”. C’è poi un Durone o Ciocchellone ad acino dolce, grande, foglia arrossante intorno al margine e ben incisa.
Durone o Ciocchellone
TRALCIO. Rossigno – gialliccio alla base, verde al sommo, arrossante nei nodi ben ingrossati, prismatico, striato; a internodi uguali o minori del peduncolo della foglia. FOGLIA. Lembo a 5 lobi poco incisi, al più, meno di ¼, gli inferiori piuttosto divaricanti, un po’ ripiegato al basso: a denti poco incisi con mucroncino acuto. La pagina superiore è di color verde chiaro, l’inferiore glabra o appena pubescente sulla base delle nervature principali salienti. Peduncolo rossigno, poco ingrossato alla base, genicolato, poco contorto, minore della nervatura principale, leggermente rigonfio ed incurvato al sommo. GRAPPOLO. Conico, non molto denso, lungo cent. 13-20, a peduncolo un po’ lungo, verde-rossiccio, tenace, talvolta ligneo, e rachide verde. Acino ellissoidico, allungato; finemente punteggiato al sommo, anche di mm. 22×18, talora compresso ai lati, polposo-sugoso, dolce un po’ aromatico, a buccia non molto grossa, con cera mediocre. Alcuni acini interni restano sensibilmente più piccoli. Semi 1-3 grandi biondi Varietà anche questa poco coltivata, perchè somministra solo uva da tavola. Del resto è ferace assai. Matura alla metà di settembre.
Contributi all’ampelografia modenese
Nell’indice è menzionata come CIOCCHELLONE NERO
Ciocchella
(Ciocchella grossa, uva ciocca). TRALCIO. Rosso di legno alla base, verdastro al sommo, per lo più irregolarmente incurvato, un po’ striato, a nodi grossi, internodi irregolari, minori o maggiori del peduncolo della foglia, piuttosto brevi. FOGLIA. Lembo a 5 lobi, incisi al più per ¼, i lobi inferiori talmente poco pronunciati che spesso la foglia pare triloba, inoltre spesso divaricanti; denti profondi con mucrone ottuso. La pagina superiore è verde un po’ aracnosa, l’inferiore glabra nelle foglie ultime, poco pubescente nelle inferiori o più adulte. Peduncolo rossigno, tranne alla base ed alla sommità, ingrossato alla base, un po’ curvo al sommo, geniculato, un po’ contorto, minore della nervatura centrale della foglia. GRAPPOLO. Voluminoso, per lo più fitto, piramidale, talvolta a cono tronco, lungo anche 30 centimetri, pesante spesso ben più di 1 Kilogrammo, a peduncolo lungo e grosso, rachide verde. Acino ellissoidico, dolcigno, di mm. 17×15 a 20×18, polposo-sugoso, spesso irregolarmente e finemente punteggiato, talora con piccolo mucroncino al sommo, a buccia giallo-dorata, di media consistenza, e con poca cera. Semi per lo più 2 brunicci. Vitigno feracissimo, e frequente. L’uva matura sul finire di settembre, eccellente da tavola e da conserva, se non tanto pregiata per vino. Il Caula però per il vino la preferisce alla Gradesana o Graticciana.
Contributi all’ampelografia modenese
Nell’indice è menzionata come CIOCCHELLA GROSSA
Ciocchella Gentile
CIOCCHELLA GENTILE (21): TRALCIO. Verde-giallastro superiormente, a strie rare e fine, a nodi non molto grossi lievemente arrossanti dalla parte opposta alla foglia, a internodi minori del peduncolo. FOGLIA. Lembo a 5 lobi acuti, specialmente il medio sporgente assai ed un po’ trilobo. L’incisione dei lobi è per ½ al più, gli inferiori però, divaricanti, sono così poco pronunciati da far sembrare tutta la foglia quasi triloba. Denti poco incisi a mucroncino ottuso. La pagina superiore è di color verde-chiaro, l’inferiore un po’ pubescente sulle nervature. Peduncolo rossiccio, poco ingrossato alla base, poco geniculato e contorto, lungo meno della nervatura centrale. GRAPPOLO. Piuttosto raro, conico di cent. 18-20, a 2-4 assi secondari, talvolta distanti, peduncolo un po’ lungo, rachide verde.
Contributi all’ampelografia modenese
Acino ellissoidico di mm. 14×16 sino a 19×19, simile del resto al precedente. Semi 2-3 brunicci, di media grossezza. Meno ferace della precedente, molto coltivata, è per vino giudicata un po’ migliore.
Nell’indice è menzionata come CIOCCHELLA GENTILE
Siamo nel 1881, torniamo all’orto agrario di Bologna. Esce il testo Notizie Concernenti la Scuola e Monografie de Gabinetti. Il prof. Francesco Marconi nel capitolo dedicato all’orto voluto da Filippo Re e da lui manutenuto nell’anno corrente, fa un elenco di uve a bacca bianca tra cui spicca con la marcatura (n)= nuova la Ciocca “Tra le buone da vino”. Dice il Marconi inoltre, “[varietà] da me introdotte”. Interessante che in questo elenco, bolognese, appaia la Bottona, menzionata da Flippo Re assieme alla Ciocca in quel che sembrava un solo nome, come abbiamo detto all’inizio.
VITI A UVA BIANCA
Albana: Buona da vini liquorosi dolci
Notizie Concernenti la Scuola e Monografie de Gabinetti
Albanone o Albana di Romagna: buona da vini asciutti
Aleonza Alionza Leonza: Dà vino di corpo asciutto molto pregevole
Angela Angiola: Ottima tra le mangereccie
Berzemino
Bottona: Tra le buone da vino
Budellona
Ciocca (n) Tra le buone da vino
Forcella: Tra le migliori da vino
Galletta
Leatico
Lugliatica: Non ismentisce il suo nome
Malvasia: Tra le migliori da vino
Manna (n): Il signor marchese F. Bevilacqua mi ha favorito questa varietà la pone fra le più mangereccie Non è comune
Montoncello Montonego Montù ecc: Ha i pregi Alionza cui entra innanzi per finezza e per aroma sviluppa sempre lentamente ma meno tardi di quella
Nel 1883 Gabriele Rosa, fedele mazziniano e membro della Giovine Italia, pubblica la sua Storia dell’Agricoltura nella civiltà, un ambizioso progetto che si prometteva di coprire il tema con un respiro universale. Rosa descrive l’opera di Tanara e riporta quanto scritto descrivendo le uve del bolognese in questi termini, riprendendo tra l’altro il nome della Checca dopo 200 anni (almeno per quanto riguarda i testi che ho analizzato), oltre alla Chiocca:
Allora le uve più frequenti nel bolognese orano : l’albana , la bottara , la torbiana (trebbiana) dal vino generoso, quantunque mangereccia e tardiva, montenegro , malaga , malvasia , checca, angela , paradisa da serbare sulle stuoie per spedire a Venezia, schiavona, lugliatica che davano buon vino, ed il leonino , il barbosino, il leutino, la borgherella, la forcella pel vino leggiero. Pessimo vino e non serbevole esciva dalle uve lupine, vino brusco davano la pomoria e la peregrina [pellegrina, ci faremo un aticolo in futuro], saporito era il vino della sanpura, rosso era quello della bornachina e della milanella, rossetto e sanissimo quello della tosca, rosso, brusco e serbevole esciva dalla guiaresca e dalla coccobergamo. Loda, anche la grilla, la lambrusca, il moscatello nero, delle quali regina era l’uva d’oro, quella che nella Francia dava il claretto che si porta per bevanda singolare in tutto iì mondo. Fra le uve mangerecce preferivansi la lugliatica, la tremasina, la pignola, la pergolese , la chiocca .
Storia dell’Agricoltura nella civiltà
L’ esperienza aveva appreso ai bolognesi, che era migliore e più serbevole il vino di più qualità di uve e vendemmiato piuttosto alla fine d’ agosto che in settembre. Allora i bolognesi vendemmiato su tavole alte da terra, stendevano l’uva a strati di un piede e lasciavanla macerare e perfezionare la maturazione per tre o quattro giorni. Tanara consiglia di difendere quegli ammassi dal sole e dalle pioggie, di spruzzarli con mosto la sera, e di non accumulare le uve già mature. I bolognesi non facevano vino cotto, lasciavano fermentare il mosto con graspi ed anche con aggiunta di acqua, tra cinque od otto giorni, e travasavano il vino a S. Martino (11 novembre) facendo bagordi. Raccomanda di solforare le botti, e di confortare il vino con acquavite raffinata. Il vino migliorava se l’inverno era freddo, le botti erano di quercia, di castagno o di gelso, ed il Tanara nota che nella Spagna seguivasi il costume antico più sano, di porre il vino in vasi di terra, di sovraporvi olio, e chiudere il vaso con pece e cera, e che a Roma si usavano botti di mattoni in verniciati. Allora anche nella Francia, secondo Olivier si ponevano i mosti anche in vasi di muratura intonacati alla guisa di cisterne, dove la fermentazione era piu lenta che nelle botti di legno.
Notiamo che stando a quanto scrive Rosa, la Chiocca era buona da tavola, mentre usa Checca come nome per l’uva da vino. Sempre a bacca bianca.
Sempre nel 1883 il Ministero pubblica il fascicolo XVI del Bollettino Ampelografico. Nella sezione dedicata alle uve duracine, ovvero dalla polpa soda, cita di nuovo la cioclà e il cioclare, di cui abbiamo accennato in precedenza. Sembrerebbero argomenti non correlati se non che viene citato il ciocchellone nero di Agazzotti come tipo di duracina. Il testo non si ferma qui però.
98 Della durella e del durà e 99 Della coda di vacca
Dopo le uve mostose ordinariamente anche molli faremo posto alle duracine uve indicate col nome proprio e con nomi affini. Tali la durella la durabuccia il cioccà e cioclare, il balocchino il castagnolo la cornagera il gragnolò. […]Delle duracine fuori provincia
Le uve duracine fuori provincia sono comunemente nella stessa località bianche e nere.
[…] Il Malavasi di Modena descrive il durone b[ianco] o ciocchellone e quindi il durone nero e poi ancora a parte il ciocchellone nero tutte ad acini oblunghi mentre l’Agazzotti descrive poi un coccalone nero ad acini sferici. Di queste riparleremo in seguito tenendo discorso del cioclare e cioccalona di Bobbio […]
101 e 102 Del cioclare e del ciocca della cioccalona e coccalona
Non è che il cioclare nero che ha importanza di coltivazione a Bobbio. Tanto nel Bobbiese che nel Vogherese vi è il cioclare e la cioccalona bianca, ma sono poco coltivate. Un’uva coccalona è propria del Piemonte. Secondo l’incisa, il coccalone dà vini di consumo ordinario. Nell’Alessandrino è pure conosciuta coccalona bianca e nera. Nell Emilia è indicata dal Decrescenzi la cocerina. Dal Tanara è segnata nel Veneto l’uva Chiocca secondo il Rovasenda vi è la Chiocchella o Siora. Parlando del Durone si è pur visto che nel Modenese ha per sinonimo Ciocchellone o Coccalona. Anche il Cioclare e Cioccalone appartiene alla classe delle duracine come si era supposto argomentando anche solo dal nome.
Anche qui abbiamo un altro fatto simile a quello della calora, cioè il Cioclare o Ciocà venendo al piano ingrossa di grappolo e di acini; d’onde il nome aumentativo di cioccalona e coccalona. È fatto si verifica anche nelle frutta e negli animali
Bollettino Ampelografico
Questo ci spiega qualcosa sull’accrescitivo di quel nome, Ciocchellone.
I sovraesposti dati sono però dovuti unicamente al censimento del 1876 poichè nè all esposizione del 1874 nè a quella del 1877 venne mai presentata alcuna delle uve sopraindicate della provincia A quest’ultima esposizione però venne presentata una coccalona dal signor cavaliere Antonio Magrassi di Carezzano Tortona e questa venne ravvisata un basgano piccolo
Se ciò è, questi due nomi non sono che un doppio della sciocchera bianca e nera già descritte. La sciocchera bianca di Bobbio fu anche nel 1874 ravvisata un basgano bianco.
Le ciocchelle e ciocchellone del Modenese non sono pure a mio avviso altro che basgane bianche e nere e così il coccalone del Piemonte poi chè appunto anche il nostro basgano per leggera carnosità è uva al pari mangereccia che da vino comune o come dice l Incisa da consumo Rimetteremo quindi il parlare dei caratteri di queste uve e dei loro vini all uva basgano
Bollettino Ampelografico
E’ chiaro che Siora sta per Signora Bianca e Chiocchella per Ciocchella. Ma quel che colpisce è questa ipotesi di sovrapposizione tra Besgano (Colombana Nera oggi) e Ciocchella. Per quanto poco ne possa capire non ho trovato affinità dal documento Genetic Characterization of Grapevine Varieties… tra Besgano Rosso e Bianco, e le uve qui presentate con il nome di Ciocca e Cioccherella (che io ipotizzo essere Ciocca Bolognese di Tanara e Ciocchella Grossa di Staggia, per cominciare a dare due nomi più precisi ma sono termini miei e non prendeteli per buoni. Passando il testo all’AI ne concludiamo però che stando ai campioni di uva Ciocca, Ciocche(re)lla e Besgano Bianco e Nero: “Cioccherella presenta alcune somiglianze genetiche con Besgano Bianco e Besgano Nero in pochi loci, ma la maggior parte dei loci mostra differenze significative. Questo indica che, nonostante qualche somiglianza, Cioccherella, Besgano Bianco e Besgano Nero sono varietà geneticamente distinte.” Mi sento quindi di scartare al momento questa ipotesi.
Nella Rivista di viticultura ed enologia italiana redatta dalla reale scuola di viticoltura ed enologia nel 1885 si riporta quanto segue:
” Si portano uve sul allo scopo speciale di venderle come uve da tavola principalmente in Modena capoluogo della provincia, poi in Mirandolam, Carpi, Finale e Sassuolo. Infine in tutti i paesuoli ove fiere e mercati.
Sono le più importanti come uve mangerecce le seguenti: Lugliatica, Moscatello giallo, Zibibbo, Gradigiana, Pellegrina, Bermestone, Rossetto, Gallettona, Tremarina, Cuccolona, Salamanna, Schiavona bianca.
Quasi tutte le uve nominate si adoprano promisquamente per vino e per la tavola. La Lugliatica, il Bermestone, e lo Zibibbo possono però tenersi per la sola tavola. È notevole che la Gradigiana e la Pellegrina hanno inoltre la proprietà di conservarsi fino a primavera e non è raro trovarne in commercio anche nell’aprile. Non havvi veramente preponderanza di un paese nella coltivazione delle uve da tavola ma quasi ogni podere ha la sua propria qualità d’uva mangereccia che serve prima pel proprietario e solo il superfluo va al mercato. A Modena a Sassuolo ed altri luoghi della provincia sonovi piccoli incettatori di frutta ed uve da tavola che spediscono nelle maggiori città dell’ Emilia della Lombardia e del Veneto. Ma mancano grandi esportatori.
Rivista di viticultura ed enologia italiana
Da questo testo ci portiamo a casa una conferma, la Cuccolona, se Agazzotti aveva ragione a considerarla sinonimo di Ciocchella, è un’uva buona anche da tavola però non si conserva a lungo come le altre uve bolognesi come la Angela e la Paradisa. Cosa però smentitami dal prof. Tedeschini, che ricorda quest’uva presente ai pranzi di Natale.
Due belle descrizioni precise arrivano nel 1887 da Ramazzini, studioso della Stazione Sperimentale di Agricoltura di Modena. Nella sezione dedicata alle uve bianche compare
12: CIOCCHELLA da vino e conserva, buccia giallo, campioni di S. Croce e S. Cataldo, coltivata AD ALBERO, molta produttività, cattivo apprezzamento locale, MOSTO:glucosio 16.1, acidità 0,70, verde giallo, dolce acidulo, coltivata nella pianura bassa
12: CIOCCHELLONE da vino e conserva, buccia giallo, campioni di S. Cataldo, coltivata AD ALBERO, molta produttività, cattivo apprezzamento locale, MOSTO:glucosio 16.6, acidità 0,80, verde giallo, dolciastro, coltivata a lquanto nella pianura bassa
Uve Principali della Pianura Modenese
Abbiamo una collocazione chiara della Ciocchella. La bassa pianura modenese.
Ci avviciniamo a fine secolo e nel 1896 esce Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’Italia. La Ciocchella viene citata tra i vitigni a bacca bianca abbondante in pianura.
A San Prospero come Ciocchetta (un refuso?). A Cittanova viene chiamata Ciocchella. [A Modena] I vitigni ad uva rossa maggiormente coltivati sono l’uva d’oro, il lambrusco di Sorbara, il lambrusco Salamino, il majolo, il berzemino, la gusciamara, la brugnola, la negretta, la tosca, sangiovese e la corva… […] Fra i vitigni ad uva bianca predominano il Trebbiano e il Moscato nel colle la Ciocchella la Gradigiana la Gherpella e la Malvasia nella pianura.
Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’Italia
A pagina 850-851 poi, in tabella viene descritta a San Prospero e Cittanova una Ciochetta e una Ciocchella con valori differenti.
Nel Vocabolario del Dialetto Bolognese di Gaspare Ungarelli, 1901 c’è un piccolo colpo di scena. Se finora sembrava che Ciocca di Tanara e Ciocchella di Staggia fossero ben distinte, qui si legge chiaramente Ciòca, sinonimo di Ciocchella comune nel modenese!
Ma era evidentemente anche coltivata nel bolognese, perché a pag. 281 a voce “uva” è nominata proprio come Ciocchella.
Nel 1903 nel Vade-mecum de commerciante di uve e di vini in Italia di Edoardo Ottavi e Arturo Marescalchi viene citata la Ciocchella come l’uva della pianura modenese.
In Viticoltura ed enologia di Vittorio Nazari, 1910, la Ciocchella si conferma ampiamente coltivata del bolognese.
Nuova Enciclopedia Agraria Italiana pt.5, 1914. Il Cavazza cita nel suo testo la Ciocchella nell’elenco delle uve comuni in Emilia e Romagna.
In Le Stazioni sperimentali agrarie italiane Volume 47, 1914 troviamo un dato tecnico: Ciocchella e Pellegrina danno mosti molto acidi, con 22.42 e 17,02 di acidi e 10.25 e 13.50 di glucosio.
Primo annuario generale vinicolo italiano illustrato, 1921. Nel volume 2, al capitolo EMILIA:
Nella provincia di Modena è molto stimato il Lambrusco di cui si conoscono vari tipi, come : il Lambrusco di Sorbara, il Lambrusco Salamino, il Lambrusco Ganassino, il Lambrusco dal Graspo Rosso, ecc. Molto diffuse sono pure l’Uva d’Oro e la Covra, la prima specialmente nella pianura. Fra i vitigni ad uva bianca si coltivano il Trebbiano, la Ciocchella, la Pellegrina, ecc.
Primo annuario generale vinicolo italiano illustrato
Interessante che ci siano segnati zucchero e acidità: Ciocchella 10-14 e 14-17. Viene citata nel capitolo su Modena, tra le uve di Carpi la Ciocchella tra i vini speciali bianchi.
Giornale Vinicolo Italiano anno 51, n.1, 1925. Un articolo di E. Ottavi cita
Ciocchella. Si coltiva specialmente nel Basso Modenese dove fornisce prodotto abbondante, ma di qualità piuttosto scadente.
Giornale Vinicolo Italiano
Notare che è citata anche la Ciocchellona tra i vitigni meno diffusi, ma qui è descritta come uva a bacca bianca, mentre altrove si parla di Ciocchellone Nero.
Saggi gleucometrici ed acidimetrici sui mosti italiani della vendemmia 1925. La Ciocchella è menzionata nel “piano medio del carpigiano” con acidità massima 12.1, zuccheri riduttori massimo 13.5, alcolicità da 8.1.
L’Italia Agricola, 1925, descrive la Ciocchella come vitigno vigorosissimo e fertilissimo che dona vini leggeri.
Per trovare nuovamente la Ciocca Bolognese, descritta proprio con questo nome, bisogna aspettare il 1963, dove compare tra le uve conferibili alla cantina sociale a Castelfranco Emilia. A pag. 25 dello Statuto sociale della cooperativa recuperato dal prof. Tedeschini, nel regolamento interno per il conferimento e classificazione delle uve, la Ciocca Bolognese è citata come uva superiore di seconda (la classificazione è superiore di prima, superiore di seconda, buona di prima, buona di seconda).
Nel 1969, in seguito a una discutibilissima direttiva europea, viene istituito il catalogo nazionale delle varietà di vite. L’istituzione di questo registro ha avuto un impatto disastroso sulla biodiversità vitivinicola, riducendo drasticamente la varietà e la ricchezza delle esperienze enologiche italiane. Centinaia di varietà minori hanno iniziato a scomparire, privandoci di aromi unici e di esperienze enogastronomiche preziose.
Nel 1986 la Ciocchella compare ancora nella rivista Atti del 4° simposio internazionale di genetica della vite. Secondo questo testo in Emilia-Romagna è coltivata la Ciocca, con i sinonimi di Chiocca, Checca, Ciocchella (?), Cioclare (?), Signora bianca (?). Ho impressione che questa lista di sinonimi sia stata fatta con una certa superficialità mescolando un po’ di tutto.
Per un sublessico vitivinicolo la storia materiale e linguistica di alcuni nomi di viti e vini italiani di Thomas Hohnerlein-Buchinger esce nel 1996. Qui Tanara viene citato perla Chiocca che qui viene menzionata come Cioca. L’etimo si fa risalire al latino cochlea per la forma tonda o per la buccia degli acini. Non so da dove venga questa idea, trovo più probabile la classificazione delle uve duracine.
Sul sito, dominio di terzo livello del Comune di Modena, nel 2006 compare un’intervista ad alcuni signori anziani. Romano Morselli e Norma Guerzoni, mezzadri e braccianti:
Vedo che qui c’è molta uva, avete sempre coltivato uva voi?
Rezdore
Romano: sì, l’uva sempre e dappertutto nei tre fondi che ho conosciuto io abbiamo sempre coltivato anche l’uva.
Che tipi di uva c’erano?
Romano: c’era il lambrusco di Sorbara, c’era il salamino, c’era la grasparossa, l’uva d’oro, l’uva ciuchela, ne abbiamo una pianta lì di dietro.
Perché si chiamava uva ciuchela?
Romano: se vi devo dire il nome in italiano non lo so.
Com’è quest’uva?
Norma: bianca con dei chicchi grossi.
Romano: verde, poi nel diventare matura diventa giallastra.
Norma: quando mi sono sposata io, che sono già 54 anni, abitavamo in un altro Paese e avevano st’uva che io non l’avevo mai vista, la ciuchela.
Quest’uva qua si usava per fare il vino?
Romano: si adoperava anche per fare il vino bianco.
Norma: dolce, con un gusto particolare.
Romano: adesso vi dico una cosa, quell’altra il grappolo era come quello del lambrusco di sorbara però era bianco, io quando mangiavo di quell’uva lì , ioche non ho mai bevuto vino in vita mia, a me faceva girare la testa …dimmi come si chiamava? Adesso mi sfugge il nome.
Norma: perché è il mio paese natio dove parla lui però io ero bracciante, noi non avevamo niente allora non so neanche come si chiama.”
Troviamo la Ciuchèla anche a Serramazzoni, in collina! Argentina Riva, rezdora:
Si ricorda qualche piatto che cucinava la nonna?
Rezdore
Tina: Erano quasi sempre gli stessi. Pasta e fagioli, pasta e patate, il friggione con la cipolla, pomodoro, peperone. Una cosa che mi è rimasta impressa è che al mattino, a colazione, friggeva nella padella con dell’olio del sedano che aveva nell’orto e poi aggiungeva dell’uva bianca, chiamata l’uva ciuchela, che così buona non ho più mangiato. In questo fritto mettevano anche un po’ di lardo. Faceva poi gli gnocchi di patate conditi con lardo e conserva di pomodoro.
Li preparava in un giorno particolare?
Tina: no, li faceva quasi tutte le settimane come la pasta e fagioli che veniva fatta anche 3 volte alla settimane e una mia zia si arrabbiava perché si mangiava sempre pasta e fagioli. Le tagliatelle all’uovo le facevano il giovedì, e alla domenica il brodo.”
Nella rivista Casalecchio Notizie n.4 del 2007, al Parco della Chiusa è citata una alberata con alcuni vitigni storici tra cui la Ciocca.
Dal punto di vista accademico, sul sito Vitis International Variety Catalogue (vivc.de), 2020 è segnalata una uva Ciocca con sinonimi Checca e Chiocca (torniamo a Tanara)
Una ricerca di persona a Staggia, svolta l’anno scorso nel 2023, mi ha portato a un testo ottenuto dal sindaco:
Ecco la trascrizione del testo dall’immagine fornita:
[…] nella seduta del 16 ottobre 1931 approvò il contributo di L.1500 stanziato dal Comune di .Prospero per concorrere alla spesa della sistemazione del piazzale della chiesa di stagglia (1).
La sagra della parrocchia di Staggia si teneva in passato come è d’uso il tenersi tutt’ora il giorno otto settembre ed è detta la Sagra della Ciuchela dal nome dell’uva bianca prima a maturare. sotto la rettoria di don Geminiano Malagoli, questa festività veniva spostata alla domenica che seguiva tale data, per permettere la partecipazione di quanti erano occupati nei lavori più impegnativi dei campi, o fuori della villa.
Il successore don Armando Viviani ripristinò il giorno prescritto e tutt’ora si segue detta norma. In quel giorno si effettuava una processione breve nel nu […]
Parlando poi con lo storico del paese, mi è stato confermato che il nome Sagra della Ciuchèla non era un nome ufficiale, ma quello con cui la sagra era conosciuta in paese. Il sig. Bergamaschi coltiva ancora questa varietà ed ha ancora una mezza dozzina di piante a chicco ovale.
In degustazione
Si ma. Alla fine, questa ciuchèla com’è?
Partiamo dal presupposto che Ciocca e Ciocchella (attualmente chiamata nei testi accademici “cioccherella”) sono due varietà ben distinte. La Ciocchella di Vicini/Pincetti è probabilmente la Ciocchella di Staggia. Bergamaschi mi diceva che la sua famiglia ha un podere a Staggia da almeno 150-200 anni e quella varietà c’è sempre stata. Io sono abbastanza sicuro che la Ciocca Bolognese del Tanara sia tutt’altra varietà. Claudio Plessi di Castelnuovo Rangone ha fatto una microvinificazione di Ciocchella in purezza (come fa sempre) mentre Bergamaschi di Staggia usa un uvaggio di Trebbiano d’Empoli e Malvasia. Prendendo questi due campioni sperimentali sono andato da un amico vignaiolo e abbiamo abbinato questi vini ad un po’ di sana cucina ruspante bolognese. Non avremo ancora sentito la Ciocca ma la Ciocchella secondo noi ha le seguenti caratteristiche.
Al colore chiaro e pulito ma non brillante. Un naso erbaceo con un lontano ricordo di idrocarburi. Alla bocca una salinità spiccata che si amplifica in maniera importante nei mosti ottenuti da questo vitigno in collina. In pianura come a Staggia e Castelnuovo Rangone, la salinità marina finale è piacevole e ben distinta ma non altrettanto marcata. Pensiamo che sia un vitigno perfetto per la spumantizzazione usato in taglio con altre uve. Come d’altrone fa la famiglia Bergamaschi da generazioni. La malvasia per gli aromi intensi, il trebbiano per il corpo e la Ciuchèla per la sapidità che mette tutto in ordine. Giorgio Erioli, a Valsamoggia, aveva due cloni di Ciocchella. Purtroppo al contrario di Staggia dove quest’uva non ha problemi a vivere a piede franco, Erioli ha dovuto ricorrere al portainnesto. La vigna dalla quale erano state salvate queste piante però pare fosse vecchissima e l’innesto non ha tenuto, dei due cloni rimasti, solo uno si è salvato.
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