Prima dell’unità d’Italia, avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, Modena e Reggio Emilia costituivano buona parte del ducato degli Estensi. Ai tempi, si trattava di uno stato vero e proprio, con tanto di cambio e dogane per importazione ed esportazione di prodotti agricoli e non solo. Parliamo di un periodo in cui ci fu una forte spinta verso l’esportazione, che però stava incontrando alcuni importanti criticità da risolvere. Parliamo oggi dekka storia del vino e pratiche agricole nel ducato degli Estensi.
Interessante sapere anche perché si cercava l’esportazione. Il motivo principale era, parrebbe, ridurre l’alcolismo e la violenza che scaturiva nelle osterie, al punto che il Duca fece sospendere i giochi e fece emanare diverse leggi che rendevano fuorilegge queste forme di intrattenimelto. Ho visto di persona quelle grida.
Parlando di vino, già ai tempi il confronto con i nostri vicini di Francia era terreno di accesi dibattiti. Si credeva che i vini ducali fossero incapaci di reggere il trasporto su lunghe tratte, ed era piuttosto vero. A Modena e Reggio si facevano vini instabili, che tendevano a scoppiare o diventare melma maleodorante, prima della scoperta di moderne tecniche di lavorazione e conservazione. Ai tempi, dalle nostre parti, il metodo tradizionale per fare vino prevedeva la fermentazione in tini. Nonostante il Dandolo avesse già dato diverse indicazioni nei primi anni dell’Ottocento riguardanti il miglioramento del vino per renderlo più stabile nel trasporto, il nostro Filippo Re (grande agronomo, anche rettore della facoltà di Agraria a Bologna, e autore degli annali d’agricoltura del regno d’Italia) era dell’idea che avesse dimenticato di parlare dei difetti regionali di lavorazione.
Infatti, negli Stati dove la fabbricazione del vino per l’esportazione è nuovo argomento (es. appunto, gli Stati Estensi) si scegliuevano le varietà di uva da massa e non da qualità. A questo si aggiungeva una mancata progettazione dei vigneti, e una pessima potatura.
Per progettazione, Re intendeva che le varietà in vigna sono tutte disposte alla rinfusa. Vitigni a bacca bianca assieme a quelle a bacca nera, di varietà (qualità) diverse disposte senza una regola indipendentemente dall’altitudine e tipologia di terreno. Non c’era, secondo Re, una adeguata progettualità nell’impianto di un vigneto (non dimentichiamo che la vigna come la conosciamo noi oggi costituiva una parte minima, ache dell’1% della superificie vitata complessiva, le piante epr lo più erano parte di una coltivazione mista, avvolte attorno agli alberi, ma ne abbiamo già parlato). Questo caos determinava spostamenti ripetuti per raccogliere certe uve in particolare, perché banalmente non si trovavano tutte assieme. Con un dispendio di energie enorme.
la potatura poi, era troppo generosa, per lasciare piu uva possibile a crescere in grappoli che finivano per appesantire gli alberi a cui le viti erano maritati.
Ai tempi, la vendemmia avveniva tra settembre e ottobre in occasione di ricorrenze del folclore locale, più che alle leggi dello stato. L’uva veniva raccolta, disposta in tini o navazze (strutture di legno per il trasporto delle uve) dove poi venivano pestate coi piedi, con tanto di graspe. A questo punto, erano due le tipologie di vino che uscivano dalle cantine.
METODO 1: vini dolci e colorati
Si partiva con macerazioni che oggi fanno strizzare un po’ gli occhi: 8-10 giorni per i vini bianchi1, 12-15 per i vini neri. Il vino veniva travasato dai tino alle botti fino a marzo, ricolmate regolarmente. A quel punto, i rossi venivano travasati per togliere il fondo che si era fermato e commercializzato. Per i bianchi, i travasi venivano ripetuti.
A quel punto si preparava il vino da famiglia :-), quello che più di recente venne chiamato il “torchiato”, che, nella norma, non sarebbe più esattamente legale chiamare vino. Veniva difatti aggiunta l’acqua all’uva pigiata per una seconda fermentazione. Si tratta di vini leggerissimi, che inacidiscono in estate, di poco grado.
Nei vini cosiddetti da famiglia veniva aggiunta tanta acqua quanta uva, con variazione a seconda delle uve, gusti e finanze del consumatore. Una cosa che ho notato, in molte descrizioni di uve locali in testi di quel periodo, è che viene sempre indicata la predisposizione di quella particolare varietà a “tenere acqua”, immagino proprio riferito a questo.
METODO 2 vini alcolici ACCURATI o FINI
Per questi vini di maggior pregio, la macerazione è molto più breve: 24-36 ore, finchè non si costituisce quella schiuma densa che viene chiamata cappello. Venivano poi separate le vinacce dal mosto e il tutto lasciato in contenitori aperti fino a marzo per fermentare. Giunti a quel mese, vengono fatti i travasi per rimuovere le fecce e infine imbottigliati, chiusi con il catrame e lasciati affinare per un anno prima di renderli commercializzabili, e soprattutto stabili.
Questa tipologia di vini invecchia e migliora, non inacidisce o svanisce. Talvolta poi, per aumentarne ulteriormente la qualità venivano usate uve appassite al sole. Succedeva spesso nelle nostre colline del Lambrusco Grasparossa.
SPIRITI
Una nota particolare va al mondo degli spiriti, che negli Stati Estensi venivano prodotti di frequente, io penso anche in virtù della massa enorme di uva che veniva raccolta. Ho visto a Cognento (MO) una vecchia villa del Cinquecento con una bellissima distilleria interna, purtroppo oggi dismessa. Una torre vera e propria.
Gli spiriti erano di due tipi, come i vini, ma si distinguevano a seconda che venissero da vini “puri” o da vinacce o acquaviti di grado minimo.
Quello degli spiriti era un metodo per mettere a frutto la grossa produzione di uve di scarsa qualità della bassa Modenese e Reggiana (cioè quei territori del nord che vanno in direzione del fiume Po, zone molto fertili e redditizie che però fanno vini molto diversi dalla collina.
I vantaggi della produzione di spiriti erano diversi. C’era meno volume di uva da trasportare, e di conseguenza meno gabelle da pagare.
Gli spiriti da vino puro venivano originariamente prodotti tramite distillazione di vino e acquaviti con la tecnica del “bollore”, ovvero a lambicco, tecnica probabilmente acquisita dagli arabi. Questo sistema produceva spiriti partendo da vini di 15-16 gradi e dalle acquaviti di grado minimo (chiamate acquette) ne uscivano spiriti da 22-24.
Nel Settecento, grazie a nuove tecniche di Jean‐Édouard Adam e poi Isaac Bérard, si cominciarono ad ottenere spiriti di 34-36 gradi da vini o da acquette. Per ottenere quest’ultima, si partiva distillando un terzo di vino e due terzi di vinacce.
La storia del vino e pratiche agricole nel ducato degli Estensi è affascinante e contiene molte sfaccettature che proverò ad approfondire in prossimi articoli, da Reggio Emilia e Modena, alla precedente capitale di Ferrara, fino alle zone al di la degli appennini, attorno a Massa.
- per bianchi Levizzano, Fiorano, Scandiano si suggerisce di ridurre la macerazione ↩︎