Uva Maligia

La Maligia era una delle varietà a bacca bianca più diffuse sui colli imolesi, ed in particolare a Dozza, dove era chiamata Malis. In Romagna e in altre zone del Bolognese, invece, veniva chiamata Maligia, Malise o Malisia (Capucci, 1954).
Sinonimi accertati: Malise, Malisa, Malixia, Malixa, Malige, Malica
Sinonimie errate:
Denominazioni dialettali locali: Malis (territorio Imolese)
Rischio di erosione: molto elevato

Nel 2004, il Dizionario dei vitigni minori italiani riportava che “Di questo
vitigno bianco, conosciuto anche con il nome di Malisia o Malisa, Malixia o
Malixa, Malese, Malige, Malixe o Malise e probabilmente facente parte della
famiglia delle Malvasie” erano ormai presenti solo “ridottissime estensioni nei
comuni di Imola, Castel S. Pietro, Dozza, Castelbolognese e Faenza, non superiori
ai 2-3 ettari” (Scienza et al., 2004), ma ad oggi sono rimasti solo rari
esemplari in collezioni ex-situ o presso alcuni estimatori.

Già nel 1300, Pier de Crescenzi scrive di una Malixia, coltivata nei pressi di
Bologna, che per certi aspetti ricorda proprio la Maligia: “Ed è un’altra maniera,
che da alcuni malixia, e da alcuni altri Sarcula è chiamata, la quale ha
il granello bianco, e ritondo, e torbido, con sottil corteccia, che in, maraviglioso
modo pesa, e in terra assai magra si difende. Il vino fa di mezzana potenzia, e
bontà, e non molto sottile, nè molto serbabile, e questo è molto commendato a
Bologna” (De’ Crescenzi e De Rossi, 1805).
Il Tanara, parlando delle viti coltivate in provincia di Bologna, riferisce che
le Malige possiedono alcune caratteristiche che le fanno assimilare al “Torbiano”
e al “Montonego”, quali la maturazione piuttosto tardiva del grappolo,
la sua resistenza al marciume e la bontà del vino (Tanara, 1644). Probabilmente
la Maligia era diffusa anche in altre aree dell’Emilia, visto che il
Vicini la cita nel suo Baccanale settecentesco “I vini modanesi”. Ai fini dello
studio della varietà, però, oltre la citazione poetica, tornano sicuramente più
utili le annotazioni al componimento redatte dal Caula: “La Maligia è cattiva:
ben matura però, e quasi marcia, riesce alquanto buona. Fa vino scipito,
che ubriaca come quello di Rossetta, ed anche più. Ha grappolo grande, grana
lunghette, e alquanto dense: non ha bel colore, e tira più al verde che al giallo”
(Vicini, 1752). In effetti l’acino leggermente allungato lascia presupporre
che si tratti proprio della Maligia. La descrizione è ripresa anche dal Maini
(1851), un secolo più tardi. All’inizio dell’Ottocento, Dalla Fossa (1810)

cita la Malise tra le uve da scartare per l’areale reggiano, poiché, come altre varietà che annovera, “hanno il solo
vantaggio di essere precoci, sebbene la loro maturità non è giammai completa”. Nello stesso periodo, apprendiamo dal
conte Filippo Re, che la Malisia o Malixia del Crescenzi era presente nell’Orto botanico dell’Università di Bologna
(Re e Bertolini, 1812). Nonostante queste indicazioni nel 1850, la Maligia era ancora presente nel novero delle uve
bianche comuni coltivate negli Stati Estensi, sia al di qua che al di là degli Appennini, ovvero in ambito toscano
corrispondente alle odierne province di Lucca e Massa Carrara (Roncaglia, 1850). Acerbi (1999), nel 1825, cita una
“Malica” tra le varietà coltivate a Bologna, e nel 1866 Berti Pichat cita la “Malisia” (Berti Pichat, 1866; Farinelli,
1981). Vincenzo Bertozzi, in un manoscritto del 1840, che riporta l’elenco delle varietà di vite coltivate nel Reggiano,
annovera anche una Malise: non c’è una descrizione, ma si tratta di un’uva a bacca bianca (Bellocchi, 1982). Per
una descrizione un po’ più dettagliata bisogna aspettare Aggazzotti (1867). Il Conte di Rovasenda (1877) sintetizza
i lavori ampelografici precedenti ed elenca diversi nomi riconducibili alla Maligia (Malica, Malisa, Malixia o Sarcuta).
Nel fascicolo XII del “Bullettino ampelografico”, la Commissione che aveva lavorato alle varietà del Bolognese
riporta la presenza sul territorio del Malise o Malisia (Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, 1879;
Farinelli, 1981). Nel 1954 fu pubblicato uno studio di Carlo Capucci sulla Maligia, in cui venivano riportati dati
e osservazioni sulla morfologia e sul comportamento agronomico di questa varietà, di cui si elogiano la rusticità, la
buona affinità con i principali portinnesti del momento, il vigore, la produttività e la buona qualità del prodotto.
Il lavoro di Capucci riferisce anche che ‘in quegli anni’ la varietà era più diffusamente coltivata nella provincia di
Bologna, ma si trovavano anche alcune piantagioni nelle province di Ravenna e Ferrara, dove era stata recentemente
introdotta (Capucci, 1954). Un lavoro di ricognizione varietale dei primi anni ’80 del Novecento riscontrò la
presenza di Maligia in ormai rari vigneti e in vecchi filari tra le province di Bologna e Ravenna, nonostante questo
vitigno minore nel passato avesse raggiunto una certa estensione colturale (Silvestroni et al., 1986). Negli anni ’90
fu oggetto di studio nell’ambito di un progetto di ricerca nazionale, ma a differenza di altri vitigni minori non è
stato oggetto di recupero e valorizzazione (AA.VV., 1999). Le analisi molecolari (tabella profili genetici) non hanno
rilevato sinonimie e neppure stretti livelli di parentela con i vitigni locali per questo vitigno.

Caratteristiche del vitigno
Foglia. Di dimensioni medie o medio-grandi, cuneiforme, pentalobata, con seno peziolare
aperto, con fondo sagomato a V o, talora, anche a forma di parentesi graffa. Seni laterali superiori
mediamente profondi con base generalmente a parentesi graffa. Denti tendenzialmente
convessi, talora alcuni presentano anche lati rettilinei. Pagina inferiore poco tomentosa: rari
peli coricati tra le nervature e rari peli eretti sulle nervature.
Grappolo. Tendenzialmente medio, allungato, con forma a imbuto, spesso semplice, ma talora
anche con 1 o 2 ali. In relazione al tipo di terreno il grappolo può essere mediamente spargolo
o compatto (terreni più freschi). Acino leggermente ellissoidale, con buccia piuttosto pruinosa,
di colore verde-giallo, che tende all’ambrato quando il grappolo è esposto al sole.
Caratteri agronomici ed enologici. Varietà rustica, abbastanza vigorosa e produttiva, con fertilità basale buona e germogliamento
abbastanza tardivo per sfuggire ai danni da brinate primaverili. Maligia infatti germoglia ad inizio aprile
(4-6 gg dopo Trebbiano romagnolo), fiorisce nella prima settimana di giugno e matura tra fine settembre e i primi di
ottobre (circa 1 settimana dopo Trebbiano). Tollera abbastanza bene peronospora e botrite, mentre nelle aree collinari
tende ad essere colpita da oidio. Veniva impiegata sostanzialmente come uva da vino. Gli osti dell’Imolese, che erano i
maggiori acquirenti di Maligia, dato l’elevato tenore alcolico e il sapore amabile del vino, ne vinificavano l’uva assieme
con quella di secondo raccolto dell’Albana. I produttori, invece, la vinificavano separatamente e, talora, per ottenere vino
di maggior pregio, lasciavano i grappoli al sole sulle stuoie per alcuni giorni prima di pigiarli. In genere si ottenevano
mosti con un buon tenore zuccherino. Si diceva che il vino di Maligia avesse un profumo del tutto simile a quello del
Sauvignon, però a differenza di quest’ultimo tendeva a perderlo nel tempo.

Maligia è cattiva; ben matura però e quasi marcia riesce alquanto buona. Fa vino scipito che ubbriaca come quello di Rossetta, ed anche più. Ha grappolo grande, grana lunghette e alquanto dense: non ha bel colore, e tira più al verde che al giallo1.

  1. Maini, Luigi – L’Indicatore Modenese n. 11 “Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre osservazioni relative” – 1851 ↩︎
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