Racconti di sapori dimenticati, il blog di Cornucopia 🌱🌞🍂❄

Uva Tosca

Tosca. È uva buona per far vino salubre, leggiero e gustoso per l’estate, e per gl’infermi: non porta molt’acqua, nè ha gran colore: è chiara di grane; ed altra è lunghetta di grane, altra è rotonda: il suo sapore è dolce e brusco: è però uva forte, nè v’ha altra uva, che faccia vino più sano di questa1.

Vitigno ritenuto tipico delle zone appenniniche del Reggiano che, in base ai risultati di recenti lavori scientifci, ha rivelato in primo luogo un profilo unico (tabella profli genetici), e successivamente una probabile relazione di parentela con Lambrusco Montericco e Tosca bianca2. Approfondimenti successivi hanno corroborato ed incrementato le relazioni “genitore/fglio” di Uva Tosca3, come quella con Gradino, vitigno del germoplasma toscano noto anche con il nome di Uva napoletana e nipote di Garganega e Termarina-Sciaccarello; Vintaiu (=Vintaghju), vitigno presente in Corsica, e Vite di Roteglia, un vecchio ceppo centenario reperito a Roteglia di Castellarano (RE). Considerato che si ha notizia di una cappella di Roteglia da un diploma di Ottone III del 980, si può ipotizzare che la coltivazione della vite nell’area, se non altro a supporto delle celebrazioni religiose, risalga ad una epoca piuttosto remota, con la possibilità per un vitigno antico di aver originato un’abbondante prole, allevata da seme e moltiplicata, come era in uso nel passato.

Il progressivo abbandono delle aree montane a partire dal Secondo dopoguerra giocò un ruolo decisivo nel ridimensionamento della coltivazione di Uva Tosca, tipicamente presente in queste zone, tanto che negli anni ’90 Rinaldi e Valli (1992) l’annoverano tra i vecchi vitigni reggiani ormai a forte rischio di erosione. Secondo i dati del Censimento dell’Agricoltura del 2000, in Emilia-Romagna, erano presenti ancora 44 ettari di Uva Tosca, scesi rapidamente a 10,49 nel 2010, per raggiungere quota 4,32 ettari a fne 2021 (dati RER). Da rilievi nei vigneti relitti di Monteforino (MO), culla del vino di Uva Tosca, o per meglio dire del “Vino de monte”, si evince che si trattava di vigneti misti, con prevalenza di Uva Tosca. Aldo Magnoni4, esperto di storia locale, riferisce che dal Cinquecento in poi il “Vino de monte” viene frequentemente citato dagli storici tra i doni oferti a duchi e cardinali di casa d’Este. Nel passato recente i vignaioli del posto andavano a prendere partite di Lambrusco grasparossa da Castelvetro per colorare il loro vino di Tosca, che, viste le caratteristiche dell’uva e l’altitudine, era mediamente poco colorato. E da lì probabilmente prendevano anche maglioli di Grasparossa e di altri vitigni, che poi mettevano a dimora nelle loro vigne, nell’intento di fare un uvaggio in grado di dare un vino più robusto e colorato. Comunque, in Emilia, l’Uva Tosca è nota da sempre per essere l’unico vitigno in grado di maturare dall’alto colle fno alla montagna e, come si accennava, proprio l’indicazione “de monte” l’accompagna sin dal Cinquecento, quando Tomasino de’ Bianchi riportava nelle “Cronache modenesi” che nell’anno 1552 l’Uva Tosca di monte era quotata ben di più dell’Uva d’oro (AA.VV., 1881). A metà del Seicento, l’agronomo Vincenzo Tanara (1674) riferisce che “l’Uva Tosca fa vino rossetto piccolo, non molto dolce, piccante, gratioso, e sanissimo”. Nel Settecento è poi citata nel baccanale “I vini Modanesi” (Vicini, 1752; Montanari e Malavasi Pignatti Morano, 2018; Valvasense, 1753), con l’annotazione del Caula, poi ripresa anche dal Maini (1851), in cui si legge: “La Tosca è uva buona per far vino salubre, leggiero, e gustoso per l’estate, e per gl’infermi: non porta molt’acqua, né ha gran colore: è chiara di grane; ed altra è lunghetta di grane, altra è rotonda: il suo sapore è dolce, e brusco: è però uva forte, né v’ha altra uva, che faccia vino più sano di questa”. Arriviamo, poi, all’Ottocento con diverse attestazioni della presenza e della rinomanza del vino di Uva Tosca prodotto sui monti del Modenese e del Reggiano (Bertozzi, 1840), comprese alcune citazioni in guide di viaggio del tempo: Pasquin (1842) cita il “vino rosso della montagna di Modena (vino tosco)”, come pure Bradshaw (1865). La “Statistica generale degli stati estensi”, compilata da Carlo Roncaglia sui dati del 1847, riporta la presenza di uva “Tosca” nei territori cispennini (Roncaglia, 1850). Per una descrizione accurata del vitigno, però, bisognerà aspettare Francesco Aggazzotti del Colombaro (1867), che aveva in collezione due tipologie di Tosca: Tosca gentile e comune, che “varia di poco dalla Tosca gentile, senonchè questa ha grani più grossi, produce più in abbondanza, e dà prodotti più ordinari; e puossi dire che, in proporzione diretta della maggior feracità e rustichezza, perda in fnezza e bontà”. Anche il conte di Rovasenda (1877) cita la Tosca nella sua Ampelografa, rimandando alle descrizioni dell’Aggazzotti e precisando che la Tosca comune è “la più coltivata a Sassuolo. Modena”, ma indica anche una “Tosca gentile”. Arturo Marescalchi, su una rivista del tempo (1897), consiglia Uva Tosca per impianti a 600 metri di altitudine nel Reggiano, d’altro canto, parlando della viticoltura nella valle del Leo (territorio di Fanano), Bartolomeo Moreschi (1880), conferma come Uva Tosca sia la varietà più comune in quei luoghi. Il Molon (1906) indica un’“Uva Tosca ??” di Modena, come sinonimo di Sangiovese grosso, sinonimia riproposta anche da Cavazza (1923), ma successivamente smentita da Cosmo (Grego, 1968) e da Calò et al. (2006), che però ipotizzano un’origine del nome dalla somiglianza con questo vitigno. Il Marzotto (1925) conferma la difusione della Tosca comune nel circondario di Sassuolo e Toni (1927) identifca l’Uva Tosca come un vitigno particolarmente adatto alle altitudini maggiori (6-700 m slm) dell’areale reggiano: “al monte, l’Uva Tosca tipica per il vino aspretto, ma assai serbevole che produce”. Nonostante l’abbandono delle colline, sul fnire degli anni 60’, l’Uva Tosca primeggiava ancora nell’areale reggiano di montagna (Grego, 1968) e, ci racconta il Manzoni (1977), era arrivata anche in Romagna: “Vitigno oggi quasi totalmente scomparso dalla nostra terra importato nei tempi passati dal Reggiano in alcuni fondi romagnoli di alta collina. Dà un vino da pasto abbastanza alcolico di color rosso spento e di sapore asprigno”.
Caratteristiche del vitigno
Foglia. Media, cuneiforme, pentalobata, talora con seni laterali inferiori appena accennati. Seni laterali superiori a bordi sovrapposti e con base sagomata ad U. Seno peziolare poco aperto, conformato a V. Lembo tendenzialmente contorto, che tende a formare quasi un imbuto, con pagina superiore leggermente bollosa e nervature verde chiaro. Pagina inferiore con tomento coricato medio o medio-basso tra le nervature e peli eretti sulle nervature con densità media. Denti tendenzialmente a margini convessi, talora frammisti a denti con un lato concavo e uno convesso. Grappolo. Conico, talora con 1 o 2 ali, da mediamente compatto a compatto a seconda del tipo di suolo su cui è coltivata la vite. Acino sferoidale, con buccia mediamente o poco pruinosa, di colore rosso scu-ro-violaceo. Caratteri agronomici ed enologici. Vitigno di media vigoria, non particolarmente produttivo, predilige i terreni poveri e ben esposti, per avere una corretta maturazione. In certe annate può andare soggetto ad acinellatura e colatura. Predi-lige la potatura lunga. Epoca di germogliamento medio-tardiva, di fioritura media e di maturazione tardiva. Presenta una certa sensibilità all’oidio, mentre sembra più tollerante verso le altre crittogame principali. Produce un vino non aromatico, di colore rosso chiaro, acidulo, piuttosto sapido, non particolarmente alcolico. In passa-to veniva utilizzato anche come uva da tavola. È adatto alla vinificazione in uvaggio con altri vitigni per ottenere prodotti freschi, da consumare giovani, anche nelle tipologie rosato e frizzante5.

Secondo Molon, la Tosca era sinonimo di Sangioveto Grosso (Dolce) ovvero Sangiovese, descritto anche in Ampelografia del 1906.6

  1. Maini, Luigi – L’Indicatore Modenese n. 18 “Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre osservazioni relative” – 1851 ↩︎
  2. Boccacci et al., 2005; Meglioraldi et al., 2013 ↩︎
  3. D’Onofrio et al., 2021 ↩︎
  4. Bellei et al., 2008 ↩︎
  5. Fontana, Marisa; Pastore, Chiara; Perri, Francesco; Filippetti, Ilaria – Le vecchie varietà locali di vite – 2022 ↩︎
  6. D. Cavazza “Nuova enciclopedia agraria italiana”, 1914 ↩︎
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