L’Albana a bacca nera è citata da Ramazzini a fine Ottocento come varietà coltivata a San Marone e Collegara, a Modena. Era coltivata ad albero, con il sistema della vite maritata, ed era discretamente apprezzata dai locali. Aveva un sapore dolciastro e dava un mosto rosso sangue, ma era poco conosciuta1. Ad oggi non sono riuscito a trovarne memoria se non in Romagna.
L’Albana nera è sufficiente per far vino dolce; non regge però a molt’acqua, nè dà molto colore: ha il grappolo grande e lungo con grani rossucci rotondi, e parte grossi, parte minuti2.
Albana nera è un vitigno, un tempo tipicamente coltivato nelle aree alto collinari tra le province di Modena, Bologna e la Romagna, ormai scomparso dalla coltivazione3.
Sinonimi accertati: Albana rossa
Sinonimie errate: Albanina
Denominazioni dialettali locali: Aibâna negra (Romagna)
Rischio di erosione: molto elevato
La ricerca della “vera” Albana nera, il true-to-type, è stata impegnativa. Gli accertamenti genetici, seguiti alle segnalazioni recenti di viti indicate come Albana nera, si sono dimostrati spesso deludenti: nelle colline tra Faenza e Imola, con questo termine viene indicato spesso il Ciliegiolo; una segnalazione tra Faenza e Forlì aveva portato ad identificare l’accessione come Marzemino e, sui colli del Faentino, erano state segnalate come Albana nera una vite di Lambrusco Marani e delle viti di Fortana.
In termini di conservazione ex-situ, nel campo collezione del Polo vitivinicolo di Tebano erano presenti più accessioni, diverse tra loro, le cui denominazioni riconducevano ad Albana nera: Albana nera, Albana rossa e Albanina nera Bordini. Finalmente, nel 2018, il rinvenimento dell’accessione Albana nera “Patuelli”, nei pressi di Riolo Terme (RA), ha permesso di dirimere la questione: le osservazioni di questa accessione in campo evidenziavano diverse similitudini morfologiche con il vitigno descritto da Domizio Cavazza a inizio Novecento e l’analisi molecolare (tabella profili genetici) ha mostrato la sua identità con Albana rossa (conservata nel campo collezione). La condivisione di diversi alleli con altre accessioni in collezione conferma la sua presenza sul territorio da lungo tempo. Al momento la presenza di questa varietà in Regione è limitata a qualche centinaio di piante presso l’azienda Patuelli e a poche viti nella collezione di Tebano4.
Pier de Crescenzi (Liber ruralium commodorum 1304-1309; ed. 1784) parla degli albatichi come di uve da colore, ma è difficile stabilire se ci sia una qualche relazione con Albana nera. Vincenzo Tanara (1654) scrive: “Quant’all’uve negre, l’Albana è il più delle volte volta”, ma poi tratta solo l’Albana bianca e dobbiamo arrivare all’Acerbi (1825) per avere conferma che, a inizio Ottocento, erano coltivare nei dintorni di Bologna sia un’Albana a bacca bianca che una a bacca nera. Gallesio documenta la presenza di Albana nera anche in Romagna (1839), a seguito di una visita al casino del conte Tampieri di Solarolo (RA), ma per avere una descrizione dettagliata di un vitigno Albana rossa, bisognerà aspettare il 1875 (Pasqualini e Pasqui). La Commissione Ampelografica della provincia di Ravenna riporta che “i vitigni migliori e preferiti sono, per le uve colorate, al colle e all’altipiano, il Sangiovese e l’Aleatico, alla pianura la Canina e la Balsamina. L’Albana rossa è pure buona, ma meno pregiata” (De Bosis, 1876) e a seguito della mostra ampelografica tenutasi a Forlì nel 1876 (Comizio Agrario di Forlì, 1877) si inizia a parlare di sinonimie. La descrizione
di Domizio Cavazza (1904), poi ripresa dal Molon (1906), è indubbiamente quella più dettagliata e definisce bene anche l’areale di diffusione: “È vitigno abbastanza diffuso nell’Appennino Bolognese, Modenese e Romagnolo; ed è conosciuto in quel di Porretta e altrove col nome di Albanina, e nelle regioni elevate vien coltivato sovente come quello che può maturare facilmente; infatti lo troviamo nel territorio di Montese, ad una altitudine che supera i 500 metri, nonché a Riolo e lungo la valle della Limentra, mentre è assai meno sparso nella pianura”. La descrizione ci parla di un vitigno abbastanza resistente alle crittogame, produttivo e con uve dalle buone attitudini “enotecniche”. La pianta presenta apice tomentoso, come pure foglie con la pagina inferiore “coperta di tomento cotonoso, bianco o grigio”. Il grappolo è definito “conico, più o meno alato, piuttosto spargolo e grandioso”, con acini “sub-rotondi, con polpa carnosa, incolora; buccia pruinosa, molto colorita di violaceo scuro, aderente”. Già a partire dagli anni ’20 del Novecento, però, si avvertono segni di contrazione della coltivazione dell’Albana nera (Bazzocchi, 1923). Il Marzotto (1925) si rifà alla descrizione di Cavazza e cita come sinonimi: “Albana rossa, Albana rossa o nera di Cesena, di Forlì, di Bertinoro, Albanino”. Ne “La Romagna dei vini” (Dolcini et al., 1967) viene inserita una descrizione dell’Albana nera, ricordando che aveva perduto la sua originaria importanza, come poi ebbe a ribadire Giovanni Manzoni (1977): “L’Albana nera, detta anche Albana rossa, prodotta in piccola quantità per la vendita, già verso i primi del 1600 nelle campagne di Casola Valsenio, Riolo, Brisighella, Castel Bolognese, Faenza e Imola. Dà un vino rosso vivo, asciutto, da
pasto. Oggi viene coltivata ma con dimensioni molto modeste anche in pianura”.
Caratteristiche del vitigno
Foglia. Di dimensioni medie o medio-grandi, cuneiforme, eptalobata o, talora, pentalobata.
Seno peziolare con base tendenzialmente a V (talora anche a U) e a lembi leggermente sovrapposti o chiuso. La base del seno peziolare non è delimitata dalle nervature, anche se spesso c’è pochissimo lembo fogliare oltre le nervature. Il punto peziolare è leggermente arrossato. I seni laterali superiori hanno base a U. Nei seni laterali inferiori, anche se raramente, può essere presente un dente. Pagina superiore con bollosità media o medio-bassa. Pagina inferiore di aspetto quasi vellutato per la presenza tra le nervature di peli eretti e coricati a densità media. Sulle nervature sono presenti peli coricati con densità media o medio-alta e peli eretti con densità da media a elevata. I denti mostrano tendenzialmente margini rettilinei, anche se talora non mancano alcuni denti uncinati frammisti a quelli rettilinei.
Grappolo. Da medio a medio-grande, allungato (intorno ai 18-20 cm, ma talora anche fino ai 25 cm) tendenzialmente conico, anche se non mancano soggetti cilindrici e con la punta bifida. Compattezza da media a medio-elevata. Alato, con 3-4 ali. Acini sferoidali, di dimensioni medie o poco più, con buccia piuttosto pruinosa, di colore rosso scuro-violetto, polpa molle, senza sapori particolari e con vinaccioli ben formati.
Caratteri agronomici ed enologici
Germoglia un po’ prima dell’Albana (tardivo) e matura nella seconda metà di settembre (con il Negretto); forse per questo era coltivata in Appennino. Si tratta di un vitigno piuttosto rustico, che si adatta bene ai terreni argilloso-calcarei, anche compatti. In merito alla potatura, idoneo il Guyot, ma si adatta anche alla potatura corta, a sperone. Abbastanza tollerante nei confronti delle principali crittogame, è sensibile al ragnetto e soffre la siccità: da osservazioni in campo si è visto che i sintomi dello stress idrico compaiono prima rispetto ad altre varietà, a parità di condizioni. Nelle buone annate si ricavava un vino abbastanza fine, di discreta gradazione alcolica, caratterizzato da un sapore pieno, neutro o con lieve profumo, gradevolmente amarognolo5.
Nel 1845, Casazza la cita come uva da vino dolce.
- E. Ramazzini – Uve principali della pianura modenese, 1887 ↩︎
- Caula, Niccolò e Vicini, Gian Battista o Pincetti – note al Ditirambo di Vicini/Pincetti – 1752 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎