Uva Albana Nera

L’Albana a bacca nera è citata da Ramazzini a fine Ottocento come varietà coltivata a San Marone e Collegara, a Modena. Era coltivata ad albero, con il sistema della vite maritata, ed era discretamente apprezzata dai locali. Aveva un sapore dolciastro e dava un mosto rosso sangue, ma era poco conosciuta1. Ad oggi non sono riuscito a trovarne memoria se non in Romagna.

Uva Albana nera - Casanova, S. (notizie 1887-1906), litografo

L’Albana nera è sufficiente per far vino dolce; non regge però a molt’acqua, nè dà molto colore: ha il grappolo grande e lungo con grani rossucci rotondi, e parte grossi, parte minuti2.

Albana nera è un vitigno, un tempo tipicamente coltivato nelle aree alto collinari tra le province di Modena, Bologna e la Romagna, ormai scomparso dalla coltivazione3.

Sinonimi accertati: Albana rossa
Sinonimie errate: Albanina
Denominazioni dialettali locali: Aibâna negra (Romagna)
Rischio di erosione: molto elevato

La ricerca della “vera” Albana nera, il true-to-type, è stata impegnativa. Gli accertamenti genetici, seguiti alle segnalazioni recenti di viti indicate come Albana nera, si sono dimostrati spesso deludenti: nelle colline tra Faenza e Imola, con questo termine viene indicato spesso il Ciliegiolo; una segnalazione tra Faenza e Forlì aveva portato ad identificare l’accessione come Marzemino e, sui colli del Faentino, erano state segnalate come Albana nera una vite di Lambrusco Marani e delle viti di Fortana.
In termini di conservazione ex-situ, nel campo collezione del Polo vitivinicolo di Tebano erano presenti più accessioni, diverse tra loro, le cui denominazioni riconducevano ad Albana nera: Albana nera, Albana rossa e Albanina nera Bordini. Finalmente, nel 2018, il rinvenimento dell’accessione Albana nera “Patuelli”, nei pressi di Riolo Terme (RA), ha permesso di dirimere la questione: le osservazioni di questa accessione in campo evidenziavano diverse similitudini morfologiche con il vitigno descritto da Domizio Cavazza a inizio Novecento e l’analisi molecolare (tabella profili genetici) ha mostrato la sua identità con Albana rossa (conservata nel campo collezione). La condivisione di diversi alleli con altre accessioni in collezione conferma la sua presenza sul territorio da lungo tempo. Al momento la presenza di questa varietà in Regione è limitata a qualche centinaio di piante presso l’azienda Patuelli e a poche viti nella collezione di Tebano4.

Pier de Crescenzi (Liber ruralium commodorum 1304-1309; ed. 1784) parla degli albatichi come di uve da colore, ma è difficile stabilire se ci sia una qualche relazione con Albana nera. Vincenzo Tanara (1654) scrive: “Quant’all’uve negre, l’Albana è il più delle volte volta”, ma poi tratta solo l’Albana bianca e dobbiamo arrivare all’Acerbi (1825) per avere conferma che, a inizio Ottocento, erano coltivare nei dintorni di Bologna sia un’Albana a bacca bianca che una a bacca nera. Gallesio documenta la presenza di Albana nera anche in Romagna (1839), a seguito di una visita al casino del conte Tampieri di Solarolo (RA), ma per avere una descrizione dettagliata di un vitigno Albana rossa, bisognerà aspettare il 1875 (Pasqualini e Pasqui). La Commissione Ampelografica della provincia di Ravenna riporta che “i vitigni migliori e preferiti sono, per le uve colorate, al colle e all’altipiano, il Sangiovese e l’Aleatico, alla pianura la Canina e la Balsamina. L’Albana rossa è pure buona, ma meno pregiata” (De Bosis, 1876) e a seguito della mostra ampelografica tenutasi a Forlì nel 1876 (Comizio Agrario di Forlì, 1877) si inizia a parlare di sinonimie. La descrizione
di Domizio Cavazza (1904), poi ripresa dal Molon (1906), è indubbiamente quella più dettagliata e definisce bene anche l’areale di diffusione: “È vitigno abbastanza diffuso nell’Appennino Bolognese, Modenese e Romagnolo; ed è conosciuto in quel di Porretta e altrove col nome di Albanina, e nelle regioni elevate vien coltivato sovente come quello che può maturare facilmente; infatti lo troviamo nel territorio di Montese, ad una altitudine che supera i 500 metri, nonché a Riolo e lungo la valle della Limentra, mentre è assai meno sparso nella pianura”. La descrizione ci parla di un vitigno abbastanza resistente alle crittogame, produttivo e con uve dalle buone attitudini “enotecniche”. La pianta presenta apice tomentoso, come pure foglie con la pagina inferiore “coperta di tomento cotonoso, bianco o grigio”. Il grappolo è definito “conico, più o meno alato, piuttosto spargolo e grandioso”, con acini “sub-rotondi, con polpa carnosa, incolora; buccia pruinosa, molto colorita di violaceo scuro, aderente”. Già a partire dagli anni ’20 del Novecento, però, si avvertono segni di contrazione della coltivazione dell’Albana nera (Bazzocchi, 1923). Il Marzotto (1925) si rifà alla descrizione di Cavazza e cita come sinonimi: “Albana rossa, Albana rossa o nera di Cesena, di Forlì, di Bertinoro, Albanino”. Ne “La Romagna dei vini” (Dolcini et al., 1967) viene inserita una descrizione dell’Albana nera, ricordando che aveva perduto la sua originaria importanza, come poi ebbe a ribadire Giovanni Manzoni (1977): “L’Albana nera, detta anche Albana rossa, prodotta in piccola quantità per la vendita, già verso i primi del 1600 nelle campagne di Casola Valsenio, Riolo, Brisighella, Castel Bolognese, Faenza e Imola. Dà un vino rosso vivo, asciutto, da
pasto. Oggi viene coltivata ma con dimensioni molto modeste anche in pianura”.

Caratteristiche del vitigno

Foglia. Di dimensioni medie o medio-grandi, cuneiforme, eptalobata o, talora, pentalobata.
Seno peziolare con base tendenzialmente a V (talora anche a U) e a lembi leggermente sovrapposti o chiuso. La base del seno peziolare non è delimitata dalle nervature, anche se spesso c’è pochissimo lembo fogliare oltre le nervature. Il punto peziolare è leggermente arrossato. I seni laterali superiori hanno base a U. Nei seni laterali inferiori, anche se raramente, può essere presente un dente. Pagina superiore con bollosità media o medio-bassa. Pagina inferiore di aspetto quasi vellutato per la presenza tra le nervature di peli eretti e coricati a densità media. Sulle nervature sono presenti peli coricati con densità media o medio-alta e peli eretti con densità da media a elevata. I denti mostrano tendenzialmente margini rettilinei, anche se talora non mancano alcuni denti uncinati frammisti a quelli rettilinei.
Grappolo. Da medio a medio-grande, allungato (intorno ai 18-20 cm, ma talora anche fino ai 25 cm) tendenzialmente conico, anche se non mancano soggetti cilindrici e con la punta bifida. Compattezza da media a medio-elevata. Alato, con 3-4 ali. Acini sferoidali, di dimensioni medie o poco più, con buccia piuttosto pruinosa, di colore rosso scuro-violetto, polpa molle, senza sapori particolari e con vinaccioli ben formati.

Caratteri agronomici ed enologici

Germoglia un po’ prima dell’Albana (tardivo) e matura nella seconda metà di settembre (con il Negretto); forse per questo era coltivata in Appennino. Si tratta di un vitigno piuttosto rustico, che si adatta bene ai terreni argilloso-calcarei, anche compatti. In merito alla potatura, idoneo il Guyot, ma si adatta anche alla potatura corta, a sperone. Abbastanza tollerante nei confronti delle principali crittogame, è sensibile al ragnetto e soffre la siccità: da osservazioni in campo si è visto che i sintomi dello stress idrico compaiono prima rispetto ad altre varietà, a parità di condizioni. Nelle buone annate si ricavava un vino abbastanza fine, di discreta gradazione alcolica, caratterizzato da un sapore pieno, neutro o con lieve profumo, gradevolmente amarognolo5.

Nel 1845, Casazza la cita come uva da vino dolce.

Dopo aver descritto il Negrettino, che è il più diffuso tra i vitigni ad uva nera che si coltivino nella provincia di Bologna, dobbiamo fare un cenno ampelografico di altri vitigni che hanno, o possono avere, importanza nella produzione vinicola e che meritano un miglior apprezzamento da parte della generalità dei viticoltori.

I quali nel periodo di rinnovamento ed estensione della viticoltura che li ha occupati negli ultimi 6 lustri, son corsi dietro ora ai vitigni francesi, ora ai toscani, ora ai piemontesi, preparando quella Babele ampelologica della quale tutti si lagnano.

Fra coloro, pochi invero, che hanno con maggiore costanza, con criterio tecnico-economico assai preciso e con mezzi razionalmente acconci, tenuto fede ai vitigni indigeni, ritenendoli (a ragion veduta, del resto) pienamente idonei, con accurate selezioni e indovinate miscele, a costituire tipi di vino da pasto, comuni, o superiori, migliori della generalità e rappresentanti le genuine caratteristiche della località, eccelle l’ill.mo sig. Marchese Ferdinando Bevilacqua, il quale questo nostro lavoro, domandò larga e geniale compartecipazione di consiglio e collaborazione e permettendomi di cogliere le descrizioni ampelografiche nella sua stessa vigna Costanza in Moglio.

L’Albana nera è ricordata nell’elenco dei vitigni coltivati nella provincia bolognese, stampato nel Bullettino ampelografico, Fasc. XII, anno 1879; ma non viene descritta.

È inutile e può esser pericoloso star a cercare a quali altre viti coltivate in Italia, in Francia o altrove assimigli, dal momento che non potrei poi assodarne la identità.

È noto che qui è pianta anticamente conosciuta e coltivata anche nelle alberate della pianura, sebbene non diffusa. Pier Crescenzo non fa menzione di questo vitigno, bensì degli albatichi, che alquanto gli somigliano e che si trovano ancora nelle vigne del versante del Reno e della Limentra.

L’Albana nera è vitigno che nel suo generale aspetto, nel portamento, nel fogliame, somiglia abbastanza alla comune Albana bianca per giustificare la sua denominazione.

È vitigno abbastanza diffuso nell’Appennino Bolognese, Modenese e Romagnolo ed è conosciuto in quel di Porretta e altrove col nome di Albanina e nelle stazioni elevate vien coltivato sovente come quello che può maturare facilmente; infatti lo troviamo nel territorio di Montese ad una altitudine che supera i 500 metri, nonché a Riolo e lungo la valle della Limentra, mentre è assai meno sparso nella pianura.

Benché, come abbiamo osservato, il portamento generale dell’Albana nera ricordi abbastanza fedelmente quello dell’Albana bianca, pure ha di questa minor tendenza ad allungare i tralci, che sono più eretti e più forti.

È vitigno a radici forti, di color bruno. Ceppo robusto, facile ad essere condotto ad alberello; tralci color grigio-nocciola, rotondi e rigati, robusti, con nodi non molto marcati, internodi di media lunghezza; sono cosparsi di lieve peluria cotonosa.

Germoglio roseo, o meglio con tinta carmino diffusa, bruna ai nodi; rigato, talora appiattito, cotonoso, come pure sono cotonosi i piccioli delle foglie, i peduncoli dei grappoli, i cirri. L’estremità del germoglio è piegata a collo di cigno e coperta di tomento bianco, così denso anche nella pagina superiore delle foglioline da somigliare al Meunier.

Il germogliamento è più precoce dell’Albana bianca e precede di 4-5 giorni quello del Negrettino.

Viticci esili, bifidi, o trifidi; col crescere del tralcio si fanno robusti, specialmente quando trovano da aggrapparsi, altrimenti intristiscono e cadono presto; ciò che è comune agli altri vitigni in genere.

Gemme coniche, cotonose, non molto grosse, forti, coperte di denso feltro.

Foglie orbicolari, quinquelobate più larghe che lunghe, lunghe due terzi del picciuolo; nervature cotonose, di colore rossastro fino a metà e oltre nella pagina superiore.

Le foglioline del germoglio si aprono presto; sono coperte di denso feltro bianco, con orlatura carmina e con colore roseo diffuso e sfumante sulla pagina superiore;

dentellatura larga, ottusa, più marcati i due seni inferiori;
il seno picciolare si chiude presto per la sovrapposizione dei lobi; cui si aggiungono talora una o due linguette rilevate.

Nella foglia adulta la lamina è crespa e ondulata; talor bollosa, quanto più la vegetazione è rigogliosa.

Nella pagina inferiore la foglia è coperta di tomento cotonoso, bianco, o grigio.

Le femminelle escono precocemente e sono biancastre, ornate di carmino, specialmente verso la parte soleggiata.

Picciuolo lungo quanto la nervatura mediana; peloso, verde nella parte superiore, rossastro al di sotto.

Defogliazione tardiva. Le foglie assumono un colore intenso nell’autunno e abbandonano lentamente i tralci.

Fiore. – Spunta fin dal terzo nodo, per lo più al quarto, o al quinto, ed è accompagnato da viticcio piuttosto forte; ha forma di piccola pannocchia conica, che crescendo si espande e diventa ramosa, perdendo il colore rossastro per diventare verde-giallognolo. Talora anche i tralci provenienti dal ceppo e dalle branche portano fiori.

Si rinvengono spesso due grappoli consecutivi, o alternati da una foglia.

Fioritura ai primi di giugno, piuttosto sollecita; allegagione facile.

Grappolo, conico più o meno alato piuttosto spargolo e grandioso; maturazione contemporanea al Negrettino, cioè nella seconda metà di settembre, meno che nelle altitudini superiori ai 300 m. ove ritarda in proporzione (*1).

È abbastanza resistente alle crittogame, per cui la vendemmia può essere senza grave danno ritardata oltre la maturazione normale, nelle buone annate.

Acini sub-rotondi, con polpa carnosa, incolora, buccia pruinosa, molto colorita di violaceo scuro, aderente. Il colore della buccia non si scioglie facilmente nel mosto. Pennello incolore. Molti grappoli portano acini piccoli come quelli della passeretta.

Grappo verde, esile, pedicelli sottili, lunghi.

Vinaccioli in numero da 2 a 3 piuttosto grossi, a becco allungato, color bruno; calaza poco marcata. Cordone infossato, rilevato invece nella parte centrale.

La produzione è piuttosto abbondante; le attitudini enotecniche dell’uva sono assai pregevoli.

L’ill.mo signor Marchese Bevilacqua ha avuto la cortesia di vinificare a parte, colle cure e coll’abilità che egli suole applicare all’enologia, l’Albana nera, in modo che abbiamo potuto studiare il vino genuino prodotto da questo vitigno e ne abbiamo anche dalla cortesia del D.r Bono, Direttore del Laboratorio chimico municipale d’igiene di Bologna, le analisi che qui si riportano.

L’assaggio, a cui oltre al Marchese Bevilacqua parteciparono i Dottori Zerbini e Campana dell’Ufficio agrario, diede luogo al seguente giudizio enotecnico.
Il vino giovane è di colore granato, che poi, dopo i travasi, diventa di un bel rubino chiaro; è di grande vinosità e di molta stoffa, benché di non grande finezza; bella schiuma; sapore fresco e pieno, neutro, gradevolmente amarognolo per quanto meno sapido e meno fino del vino di Sanpiera, col quale venne confrontato.


Analisi di vini di Albana nera

del Marchese Bevilacqua
(Anno 1904)

Acidità totale (acido tartarico) …….. 6,0
Acidità volatile (acido acetico) …….. 2,10
Acidità fissa (acido tartarico) …….. 2,66
Bitarrato potassico …….. 1,66
Alcool …….. 10,8
Estratto …….. 21,1
Ceneri …….. 2,3


L’Albana nera è vitigno piuttosto rustico e che prova bene nei terreni argillo-calcarei, ancorché notevolmente compatti.

La potatura a cornetto gli conviene più di quella a mezzo tralcio. Alla vigna Costanza è in esperimento un sistema a Guyot doppio con due tralci potati a cinque occhi, con buone promesse.

Si difende abbastanza bene dalle comuni crittogame; soffre alquanto la siccità; il Tetranico l’attacca sovente e così le foglie van soggette al rossore.

D. Cavazza.

  1. E. Ramazzini – Uve principali della pianura modenese, 1887 ↩︎
  2. Caula, Niccolò e Vicini, Gian Battista o Pincetti – note al Ditirambo di Vicini/Pincetti – 1752 ↩︎
  3. M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
  4. M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
  5. M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti – Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
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