TRALCIO. Rossiccio, alquanto prismatico, a strie talvolta un po’ spiraliformi, ingrossato ai nodi, a internodi brevi per lo più uguali o minori del peduncolo della foglia. FOGLIA. Lembo a 5 lobi poco incisi, 1/3 al più, il superiore o medio lievemente trilobo, gli inferiori poco avvicinati fra loro; a denti fitti poco incisi e con piccolo mucroncino. Pagina superiore di color verde intenso; l’inferiore a rari bioccoletti di peluria sparsi fra le nervature principali, queste salienti e tardi lievemente arrossanti. Peduncolo un po’ rossigno, verdastro alla base ed al sommo, ingrossato alla base; geniculato e contorto, lungo meno della nervatura principale della foglia. GRAPPOLO. Cilindrico, un po’ piramidale, spargolo, lungo cm 12-16, raro, a 1-6 assi secondari, peduncolo piuttosto lungo e ligneo alla base, rachide verdastro. Gli acini di color giallo dorato sono sugosi, dolcigni, coperti di poca cera. Gli sterili sono sferici di mm 8-9. I fertili, ben pochi per grappolo, sono pure sferici di mm 16 in media. Semi per solito 1 globoso, grosso, color castano. Vitigno pochissimo coltivato e, può dirsi, rarissimo. Matura sulla fine di settembre. È il Corinto bianco di Rozier (Cours complet d’Agriculture V. Art. Vigne)1.
Difficile stabilire l’origine delle Termarine, anche perché spesso vengono così denominare varietà apirene
differenti che hanno in comune il solo fatto di avere acini molto piccoli e privi di vinaccioli. Nelle vecchie ampelografie è possibile trovare riferimenti a Termarina o Tremarina o Tramarina, talora con la specifica del colore della bacca, ma spesso si viene rimandati a sinonimie con Passerina Bianca o Passeretta o
Corinto. Vediamo, con un percorso a ritroso nel tempo, di ritrovare le tracce della coltivazione della Termarina bianca in Emilia-Romagna.
Ubaldo Delsante, in un lavoro del 1996, riporta: “Nei secoli passati, nelle colline di Talignano e di Segalara trovava diffusione l’uva tremarina, nelle due varietà rossa e bianca, chiamata anche toscanamente uva passerina perché ricercata e beccata avidamente dai passeri….” (Delsante, 1996). Nella rivista “L’Italia agricola” del 1927 si legge che, in provincia di Parma, “Per quanto su estensioni limitate si coltiva la tremarina che dà un vino ottimo e ricchissimo di alcool”. Non ci è dato sapere, però se l’Autore dell’articolo si riferisse alla Tremarina bianca o nera o, genericamente, ad entrambe (Toni, 1927).
A inizio Novecento, nell’“Ampelografia” del Molon, si legge “Tramarina (Tanara) = Passerina bianca” e andando al rimando si evince come anche allora il mondo delle Termarine/Passerine fosse piuttosto confuso e articolato. Molon dà per acquisita la sinonimia con il Corinto: “Tre sono le varietà più diffuse di Corinthe, che noi, con nome ormai in uso nel nostro paese, chiamiamo Passerina. La Passerina bianca, la Passerina nera e Passerina rosa”. A seguire afferma che “con tutta probabilità, le nostre Passerine corrispondono alle Escarie” citate da Plinio; inoltre tra le diverse corrispondenze con la Passerina ne cita alcune che riguardano l’Emilia-Romagna: Passeretto nel Bolognese, Uva romanina o Passerina a Forlì e forse anche la Trebbianina, e la Trebbianella dell’Agazzotti.
circonvicini, e vi contribuiva alla leggerezza e grande riputazione dei vini bianchi d’Asti. In un convento di
Religiosi in Canale un pergolato di quest’uva giungeva a sorprendente estensione. Attualmente la coltivazione è diminuita assai, perché, stante la piccolezza dell’acino, la crittogama ne altera prontamente la buccia sottile” (Di Rovasenda, 1877).
Sempre nel 1879 esce il “Contributo all’ampelografia modenese” di Lodovico Malavasi, che apre l’elenco
delle uve bianche coltivate sul territorio con la descrizione della Termarina bianca, indicando subito i sinonimi: “Tramarina, Passerina, Passeretta, Uva di Corinto”. Dalla descrizione emerge che si tratta di un’uva apirena, ma con qualche acino fertile contenenti 1 vinacciolo grosso e globoso. Il grappolo è un po’ piramidale e spargolo, quindi si può ipotizzare che si riferisca alla Termarina del Reggiano, che recentemente si è capito essere una probabile mutazione di Trebbiano toscano. Infatti la Termarina-Passeretta del Parmense ha grappolo cilindrico e compatto. Conclude la descrizione con il seguente commento: “Vitigno pochissimo coltivato e, può dirsi, rarissimo, Matura sulla fine di settembre. È il Corinto bianco di Rozier (Cours complet d’Agriculture V. Art. Vigne)” (Malavasi, 1879).
Nel 1867 esce il catalogo delle uve della collezione del cavalier Aggazzotti del Colombaro (Spilamberto, MO) in cui viene descritta una Tramarina rossa (N. 53) e in un’aggiunta successiva (1883) annovera anche una “Tramarina bianca (Passeretta bianca)”, con la seguente nota: “Possiede tutte le qualità e proprietà della sua omonima accennata al N. 53 se non sé aroma più debole, e colorito bianco a vece del rosso dell’altra, e perciò figura meglio nei soliti intingoli, nei famosi panettoni, e può sostituirsi alla così detta sultanina” (Fangarezzi, 2011). Questa citazione prospetta la sinonimia con la Passeretta e indica come quest’uva venisse impiegata più per uso di cucina (da mensa e passa) che non per la produzione di vino.
Sul Vocabolario Parmigiano-Italiano del Malaspina (1859) troviamo la voce “Termarén’na” a cui l’autore
attribuisce il termine italiano di “Passeretta”, ma si legge anche il termine “Uvétta” a cui corrisponderebbe
l’Uva di Corinto. Questo indica che erano presenti sul territorio parmense due differenti tipologie di uva
apirena. Vincenzo Bertozzi, in un manoscritto del 1840, parla di due varietà di Termarina, una a bacca bianca e una a bacca nera, che erano coltivate negli orti e nelle vigne, raramente nei campi, in provincia di Reggio Emilia.
Recenti lavori di Schneider e collaboratori hanno accertato che accessioni di Termarina del Reggiano sono
riconducibili a mutazioni apirene del Trebbiano toscano (Schneider et al., 2003; Boccacci et al., 2005;
Meglioraldi et al., 2013).
Notizie in merito alla diffusione della coltivazione di Termarina in Emilia-Romagna, pur con nomi diversi,
nell’800, ci vengono dai diari dei viaggi del conte Gallesio (Baldini, 1995), il quale elencando le uve del
territorio faentino cita: “Romanina di due qualità (bianca e rossa): la prima è la Passeretta dei Piemontesi”.
Analizzando alcune viti a Nonantola, riporta: “La Tramarina è il Corinto rosso degli enologi, è la stessa
Romanina dei Romagnoli: fa grappoli piccioli, appuntati, racemati, ora fitti ora spargoli, ad acini minutissimi, tondi e sensa vinaccioli, e in questi caratteri somiglia interamente al Corinto bianco o Passeretta dei Piemontesi; ciò che la distingue da quella è il colore rosso degli acini e il fenomeno di mettere fuori in quasi tutti i grappoli uno o più acini grossi come quelli della Barbarossa e che contengono dentro un vinacciolo”.
Anche nel Reggiano trova la Tramarina o Passolina dolce. La Termarina bianca che incontra Gallesio, quindi, è pressoché priva di acini grossi, al contrario di quella rossa, mentre una recente pubblicazione dell’Istituto Agrario “A. Zanelli” di Reggio Emilia, reperita sul web2 ), a proposito della Termarina bianca presente nella propria collezione, così riporta: “Uva quasi del tutto apirena, anche se un 10-20% degli acini è grosso e provvisto di semi. Molto dolce, adatta per produrre confetture”. Si può ipotizzare, già da questi elementi, che la Termarina analizzata dal Gallesio fosse differente rispetto a quella della collezione dell’Istituto Zanelli, ma che entrambe fossero presenti sul territorio e soprattutto che la denominazione Termarina venisse indistintamente utilizzata per indicare le uve particolarmente acinellate.
Facendo riferimento alla sinonimia riportata dal Gallesio tra Termarina bianca e Corinto bianco o Passeretta dei Piemontesi, viene spontaneo andare ad analizzare la descrizione che Giuseppe Acerbi pubblica nel suo volume “Delle viti italiane” (Passeretta bianca, varietà coltivata nel territorio di Valenza in Piemonte): “Sarmenti legnosi, rossicci, rigogliosi; viticci grossi, fibrosi, tenaci; foglie glabre, sbiadate sopra, lanuginose sotto; lobo di mezzo profondamente inciso; i rudimenti di altri due lobi laterali; denti in sega, coi rudimenti di una spina alla punta; pezioli sottili, e non molto lunghi. Grappoli grossi, composti, agglomerati-compatti; peduncolo generale grosso e lungo; parziali, esili e corti; acini di 3 millimetri, sterili, e col punto fortemente marcato; fiocine sottile, verdorato, semi-trasparente. Uva di eccellente sapore a mangiarsi, e dolcissima, che si usa però principalmente per farne dei vini che riescono bianchissimi, generosi, ma alquanto aspri e secchi; mescolata
Molon, poi, conclude la trattazione della Passerina bianca con la definizione dell’origine e la descrizione ampelografica del Pulliat: “Uva proveniente dalla Grecia, ed ormai diffusa assai in tutte le contrade vitifere d’Europa. Eccone, secondo Pulliat, i principali caratteri ampelografici: ‹Germoglio biancastro ben tomentoso. Foglia di media grandezza, più lunga che larga, glabra superiormente, con tomento feltrato nella pagina inferiore; seni superiori profondi; seno peziolare chiuso; dentatura corta ed ottusa. Grappolo di grandezza superiore alla media, lungamente cilindro-conico, sovente ramoso ed allora poco serrato. Acino molto piccolo, sferico, un po’ depresso al punto pistillifero; peduncoletti corti, filiformi; polpa succosa, un po’ molle, ben zuccherina e rilevata, buccia fina di color giallo dorato alla maturità, che cade alla fine della prima epoca›” (Molon, 1906). Tutto sommato, pur nella soggettività della descrizione, alcuni tratti accomunano la descrizione del Pulliat alle immagini della Termarina bianca reperita presso l’azienda Casalini di Basilicagoiano (PR). In un Bullettino ampelografico del 1879, tra le uve bianche importate nel Bolognese, viene annoverato anche un “Passeretto o sultanina (queste due uve non sono identiche)”: si tratta sicuramente di un’uva bianca apirena, ma non c’è alcuna descrizione, anche se probabilmente si trattava della Passeretta del conte Di Rovasenda (Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, 1879). Nel “Saggio di una ampelografia universale”, Di Rovasenda cita una “Passeretta. Sin. di Tramarina” e, in particolare, alla voce Passeretta bianca si legge: “Prima dell’invasione dell’oidio, quest’uva era oggetto di una grande coltivazione in Canelli e luoghi con altre uve, rende i vini migliori” (Acerbi, 1825). Oggi non è facile reperire piante di Passeretta piemontese, ma nel passato questa varietà era molto diffusa nelle aree di coltivazione del Moscato e se ne otteneva, pare, un vino meno profumato, ma più fine del Moscato stesso. Dal confronto tra questa descrizione e i parametri morfologici analizzati su una accessione del Parmense (Termarina bianca Casalini), si riscontrano alcune similitudini: le foglie con un lobo centrale piuttosto evidente, un certo tomento sulla pagina inferiore, i denti con il mucrone bianco, il picciolo corto, gli acini piccolini e senza semi, il grappolo racemato, compatto e l’eccellente sapore della polpa.
Nel 1810, il prof. Claudio della Fossa, così si esprimeva in merito alla coltivazione della vite nel Reggiano: “Le viti di uve bianche sono da preferirsi nelle vigne de’ colli, e le Moscatelle, e le Malvasie, la Verdea, il Greco, i Trebbiani, l’occhio di Pernice, di Gatto, la Spergolina, la Cenerina, il Corinto o Termarina bianca, daranno migliori vini dei vitigni stranieri, i quali presso di noi costantemente deteriorano, sia per diversità di clima, o differenza di suolo, o di esposizione” (Della Fossa, 1810).
Andando ancora più indietro nel tempo, a metà del 1600, il marchese Vincenzo Tanara, bolognese, nella sua opera “L’economia del cittadino in villa”, cita la Tremarina che, come la Lugliatica, si presta ad essere potata a Pergola: “In questo Contado io non so veder’altro modo di sostentamento delle viti, ò coltivazione, parlando generalmente, solo la lugliatica, ò tremarina, si conduce sù pergole, o attorno li Casamenti, ove gode, e del caldo, dell’altezza, e porge, oltre l’utile, dilettazione con l’ombrale verdura”.
Nella sezione dell’opera dedicata alla cucina, poi, illustra un servizio di credenza che prevede “Uva Tremarina bianca, e negra, servita sopra tazze tra verdure, fiori, e ghiaccio” (Tanara, 1674).
Si può quindi concludere che in Emilia-Romagna, nei secoli passati, erano diffuse almeno due varietà apirene a bacca bianca che venivano indistintamente indicate col nome di Termarina/Tramarina bianca. Già nel passato gli ampelografi più accorti avevano indicato la sinonimia tra la Termarina ad acini completamente apireni e la Passeretta del Piemonte, che recenti lavori di indagine molecolare hanno confermato. Nel Reggiano è presente un biotipo con grappolo piramidale e alcuni acini fertili che è ascrivibile ad una forma apirena del Trebbiano toscano (Meglioraldi et al., 2013)3.
ZONA TIPICA DI PRODUZIONE Emilia-Romagna, con particolare riferimento al Parmense
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO4
- Acerbi G. (1999) – Delle viti italiane. Ristampa anastatica dell’edizione del 1825. Giampiero Zazzera, Libraio in Lodi.
- Baldini E. (1995) – Giorgio Gallesio. I giornali dei viaggi. Trascrizione, note e commento di Enrico Baldini. Firenze, Nuova stamperia Parenti.
- Bertozzi V. (1840) – Viti della provincia di Reggio. Manoscritto.
- Boccacci P., Torello Marinoni D., Gambino G., Botta R., Schneider A. (2005) – Genetic Characterization of Endangered Grape Cultivars of Reggio Emilia Province. Am. J. of Enology and Viticulture, vol. 56, n. 4
- Dalla Fossa C. (1810) – Opuscoli agrarii. Con i tipi della Società (Società Agraria del Dipartimento del Crostolo), Reggio.
- Delsante U. (1996) – La Villa Lalatta di Talignano: prelati, studenti, duchi e uomini d’affari sulla collina parmense dal Cinquecento ad oggi. Ed. Cassa di risparmio di Parma & Piacenza.
- Di Rovasenda G. (1877) – Saggio di una ampelografia universale. Tipografia Subalpina, Torino.
- Fangarezzi R. (2011) – Francesco Aggazzotti primo sindaco di Formigine nell’Italia Unita, viticoltore, imprenditore agricolo, politico. Terra e Identità, Modena.
- Malaspina C. (1859) – Vocabolario parmigiano-italiano accresciuto di più che cinquanta mila voci. Tipografia Carmignani, Parma.
- Malavasi L. (1879) – Contributo all’ampelografia modenese. Tipografia di Cesare Olivari, Modena.
- Meglioraldi S., Ruffa P., Raimondi S., Storchi M., Torello Marinoni D., Vingione M., Boccacci P., Schneider A. (2013) – Conoscere il patrimonio viticolo per tutelarlo. L’informatore agrario n. 23: pp. 50-54.
- Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio (1879) – Bullettino Ampelografico, fascicolo XII. Tipografia Eredi Botta, Roma.
- Molon G. (1906) – Ampelografia. Ulrico Hoepli, Editore Libraio della Real Casa, Milano.
- Schneider A., Torello Marinoni D. (2003) – Analisi con marcatori molecolari microsatelliti di vitigni autoctoni della provincia di Reggio Emilia. Convegno “Recupero e valorizzazione di vitigni autoctoni”. Correggio RE, 12 dicembre 2003.
- Tanara V. (1674) – L’economia del cittadino in villa (prima edizione 1644). Stampa “appresso Steffano Curti”, Venezia.
- Toni G. (1927) – Viticoltura ed Enologia. L’Italia agricola. Giornale di agricoltura, n. 4. Numero speciale dedicato all’agricoltura emiliana.
- Malavasi, Lodovico – Contributo all’Ampelografia Modenese – 1879 ↩︎
- http://www.itazanelli.it/iniziat/guastalla2009/biodiversita.pdf ↩︎
- Fontana, Marisa – Scheda Repertorio Regionale RER V0111 ↩︎
- Fontana, Marisa – Scheda Repertorio Regionale RER V0111 ↩︎