Uva Termarina Nera

Termarina, fa vino rosso aromatico, e di gran forza e lunga durata. “Vitis vinifera apyrena, fructu nigro, quae dicitur Uva passa – Tremarina, vel Uva di Corinto”1, così il Re nel citato Prodromus ecc2.

La Termarina nera o rossa è un antico e ormai quasi dimenticato vitigno diffuso in particolare nelle zone di Reggio Emilia e Parma. Il vitigno è caratterizzato da una bassa produzione e da grappoli riconoscibilissimi in quanto formati da acini molto piccoli e privi di semi tra cui, ogni tanto, ne spicca uno di maggiori dimensioni e dotato di vinaccioli. Storicamente la Termarina veniva utilizzata non solo come ottima uva da tavola, ma anche per la produzione di marmellate, saba e vini; grazie al suo elevato grado zuccherino viene spesso lavorata senza l’aggiunta di ulteriore zucchero per marmellate e confetture.

Più nota in Romagna come Romanino, è stata a lungo confusa con Corinto nero, ma le analisi molecolari hanno risolto defnitivamente questa errata sinonimia, come pure quella con forme apirene di Sangiovese, molto difuse al Sud (Schneider e Torello Marinoni, 2003; Boccacci et al., 2005; Meglioraldi et al., 2013). È stata appurata, poi, l’identità con un clone di Mammolo, corrispondente anche allo Sciaccarello corso, con semi. Di recente, un importante lavoro scientifco (D’Onofrio et al., 2021) ha ricostruito una rete di parentele che suggerisce una provenienza del germoplasma viticolo italiano tradizionale da poche varietà centrali, geografcamente distribuite in più aree d’infuenza genetica: Termarina (Sciaccarello), Orsolina e Uva Tosca sarebbero le principali per l’Italia nord-occidentale e centrale, delle sorte di “capostipiti” della variegata prole dei vitigni locali di questo areale. Dalle nostre analisi (tabella profli genetici) risultano infatti notevoli condivisioni alleliche con alcune varietà locali (Cavecia B., Negretto N.) che rimangono da approfondire. Sinonimi accertati: Romanino, Armanino, Tramarina Sinonimie errate: Corinto nero Denominazioni dialettali locali: Uva Rumanena (Ravennate) Rischio di erosione: molto elevato

Termarina era difusa su tutta la regione Emilia-Romagna, con particolare riferimento alle province di Ravenna, Parma e Reggio Emilia. L’arrivo di uve da mensa apirene e con acini grossi ha portato all’abbandono di questa varietà, tanto che il Censimento dell’agricoltura del 2010 aveva censito la sua presenza in Regione soltanto su circa 1,5 ettari, che sono passati a 2,42 ettari a fne 2021 (dati RER).
L’analisi del nome del vitigno ha portato a formulare un’origine dal latino “ultra marinus”, ovvero “al di là del mare” (Hohnerlein-Buchinger, 1996), da cui “Uva d’oltre mare” e, attraverso “Oltremarina”, “Tra marina” per arrivare a “Termarina”. Sicuramente un’ipotesi suggestiva, ma il nome può essere più semplicemente collegato ad un modo di dire dialettale tipicamente emiliano, “la va’ in termareina”, a signifcare le difcoltà di allegagione che portano alla presenza di acinellatura nel grappolo: in efetti Termarina ha il grappolo con la quasi totalità di acini apireni. Questa caratteristica ha portato, erroneamente, ad identifcare questa varietà con il Corinto nero, che tra i suoi sinonimi annovera anche quello di Marine noir, dalla denominazione data da Plinio di Uva Marina nera. A metà del Cinquecento anche Agostino Gallo (1564), nelle Dieci giornate di agricoltura, tratta di un’uva denominata Marina nera: non ci sono elementi sufcienti per ritenere con certezza se si tratti di Corinto o di Termarina, ma la bontà dell’uva e il fatto

che necessiti di una potatura lunga per produrre adeguatamente fanno propendere per quest’ultima. Verso metà Seicento, invece, il marchese Vincenzo Tanara (1644), parla espressamente di “Tremarina”, che come la Lugliatica si presta ad essere potata a Pergola e consiglia di spargere le sue grane nell’insalata. L’ottocentesca difusione di Termarina, pur con diversi nomi, in Emilia-Romagna ci viene dai diari dei viaggi del conte Gallesio (1839), il quale elencando le uve del territorio faentino cita la “Romanina di due qualità (bianca e rossa)”; analizzando alcune viti a Nonantola, riporta che la “Tramarina è il Corinto rosso degli enologi, è la stessa Romanina dei Romagnoli: fa grappoli piccioli, appuntati, racemati, ora ftti ora spargoli, ad acini minutissimi, tondi e sensa vinaccioli, e in questi caratteri somiglia interamente al Corinto bianco o Passeretta dei Piemontesi; ciò che la distingue da quella è il colore rosso degli acini e il fenomeno di mettere fuori in quasi tutti i grappoli uno o più acini grossi come quelli della Barbarossa e che contengono dentro un vinacciolo. Il suo vino, fatto schietto, prende un colore rosa e ha una forza straordinaria, ma è raro che se ne faccia vino: serve per mangiare fresca e per fare l’uva passa per la cucina”. Anche nel Reggiano trova la Tramarina
o Passolina dolce (Baldini, 1995). Vincenzo Bertozzi (1840) parla di due varietà di Termarina, una a bacca bianca e una a bacca nera, che erano coltivate negli orti e nelle vigne, raramente nei campi, in provincia di Reggio Emilia, a documentare l’impiego da mensa e da appassimento, mentre Maini (1854) ci lascia un commento sul vino che se ne poteva ricavare: “Fa vino aromatico, e di gran forza e lunga durata”. Il vocabolario parmigiano-italiano del Malaspina (1859) riporta la voce “Termarèn’na” per indicare la Passerina e “Uvètta” per indicare l’Uva di Corinto, che poteva essere in realtà la nostra Termarina. Interessante, poi, la descrizione di Aggazzotti (1867), che propone tra l’altro anche i sinonimi di Uva passerina, Uva di Candia rossa e Passeretta: “Specialità d’uva vinifera, mangereccia, particolarmente ad uso di condimento culinario. Disseccata al forno od al sole serve di base alla nota Passaretta di Piemonte; ma qui da noi, è calunniata madre di vino proditore. Ma il fatto sta nel difetto di colore, che perciò, non essendo ricco di schietta lagrima, lo si beve, inconsideratamente come vino da famiglia, mentre che in sostanza, proveniente da uva assai ricca di glucosa, ha la conseguente proprietà di innebriare chi ne beva smodatamente”. La Tramarina rossa di Rovasenda (1877), che indica come sinonimo di Uva passerina e Passeretta, è coltivata a Mirandola e Modena. Ma-lavasi (1879), distinguendo una Termarina rossa da una Termarina nera, è forse il primo a riconoscere la presenza sul territorio di due diverse uve apirene, che si diferenziano, oltre che per la colorazione leggermente più scura della Termarina nera, per il fatto che questa ha la “foglia a lobo medio meno trilobo e pagina inferiore pubescente biancastra”, elementi che ragionevolmente la avvicinano al Corinto. Girolamo Molon la cita come sinonimo di Passerina nera (Molon, 1906). Sulla rivista Panorama, nel 1976, fu pubblicato un articolo del noto esperto di vini italiano Luigi Veronelli, il quale riporta di un vino di Termarina che casualmente gli fu proposto di assaggiare nel corso di una sua visita a Parma: “Un gioiello”, così si esprime. La coltivazione in Romagna, almeno fno agli ’70, è documentata dal Manzoni (1977).

Caratteristiche del vitigno
Foglia. Cuneiforme, pentalobata, di dimensioni medio-grandi, con seno peziolare sagomato a V, aperto o poco aperto. Seni laterali superiori a V o a parentesi graffa, poco profondi o appena accennati. La pagina inferiore presenta rari peli coricati tra le nervature e peli eretti praticamen-te assenti sulle nervature. I denti presentano margini tendenzialmente rettilinei, anche se a volte non mancano denti uncinati o leggermente convessi. Grappolo. Piccolo, compatto, generalmente conformato a imbuto, anche se non mancano grappoli cilindrici o conici. Presenta spesso una o due ali piuttosto evidenti. Gli acini sono mol-to piccoli, sferici, di un bel colore rosso scuro-violetto, mediamente pruinosi e senza vinaccioli, ad eccezione di uno o pochi acini che si presentano di ben più grosse dimensioni e con i vinaccioli.Caratteri agronomici ed enologici. Il germogliamento si posiziona nella prima decade di aprile, la fioritura nella prima de-cade di giugno e invaia nella seconda decade di agosto. La maturità tecnologica viene raggiunta nella seconda metà di settem-bre. Vitigno vigoroso e di buona produttività, compatibilmente con l’apirenia che lo caratterizza. Predilige la potatura lunga. Non risultano sensibilità particolari alle principali crittogame. In passato era molto usata come uva da tavola e da appassimento. Può essere usata anche per fare marmellate e confetture. La resa in mosto è molto bassa, ma fornisce un vino molto interessante, dal colore rosso rubino di media intensità, con note di rosa e frutti di bosco, accompagnate da sentori speziati. Al gusto si presenta di buona struttura, con media acidità e media persistenza gusto olfattiva.

  1. Re, Filippo – Florae Atestinae Prodromus – 1816 ↩︎
  2. Maini, Luigi – L’Indicatore Modenese n. 18 “Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre osservazioni relative” – 1851 ↩︎
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