Questo vitigno veniva solitamente, a cavallo del Novecento e per buona parte del secolo, coltivato ad alberello1. Era presente massicciamente in cultura promiscua (la cosiddetta Piantata)2.
Alfonsine (Ravenna), 2 ottobre 1891. La vendemmia è iniziata, ma si protrarrà tutto il mese , causa l’insufficente maturanza delle uve, ed anche per la necessità di usare due volte la stessa tinaja e di vendere parte dell’uva per la copia del prodotto. Gran parte delle piantagioni sono fatte da varietà di Uva d’oro e di Negrettino; varietà rustiche e di gran produzione, la prima diffusissima su entrambi i piani separati dal basso Po , la seconda più propria del Bolognese. Esse segnano ordinariamente da 14 a 16 % di glucosio e da 7 fino al 13 % di acidità; i più intelligenti tendano ora a moltiplicare le antiche uve locali la Canina, la Balsamina e il Trebbiano più zuccherine e meno acide, aggiungendo altresi qualche altra uva più precoce e che dia al vino più pronto profumo. Le prime vendite delle uve di miglior apparenza, cioè di viti curate dalla peronospora si iniziarono a lire 12 il quintale, ma poi i prezzi cominciarono a scemare
a 10, e 9 ; gli invii delle uve si fanno verso Lugo e Bologna ove si confezionano notevoli quantità di vino con uve acquistate, ovvero si inviano verso il Veneto. Modena e Parma spediscono invece nella Bassa Lombardia3.
In una rivista del 1891, un articolo scritto dal sig. Mancini sulla vigna del sig. Gurrieri a Dozza di Imola viene citata questa varietà come produttiva ma di vino scadente. Motivo che ha portato il Gurrieri a piantare solo vitigni stranieri4.
Forse sinonimo di Cagnina, tra le uve di Ravenna5.
Occorre prestare particolare attenzione di fronte ad accessioni indicate con i termini “Negretto/a o Negrettino/a”, poiché in aree viticole differenti possono sottintendere varietà diverse. A conferma di ciò, recenti analisi molecolari (Pastore et al., 2020 e comunicazioni successive) hanno individuato in un’accessione denominata Negretta la varietà Ancellotta, in una indicata come Negrettino Converselle (Forlì) la varietà Aleatico, nell’accessione Negrettino Sbarzaglia la varietà Marzemino e, infine, che nel Negretto Gatti si nascondeva il Terrano. A conferma del legame del Negretto con il territorio emiliano-romagnolo e toscano, le analisi molecolari (tabella profili genetici) evidenziano una notevole condivisione con due vitigni, Cavecia e Termarina (=Mammolo N. =Sciaccarello N.), legati tra loro da un rapporto genitore-figlio come riportato da D’Onofrio et al., 2021.
Sinonimi accertati: Negrettino bolognese, Negrettino
Sinonimie errate: Morina o Moretta, Uva Longanesi
Denominazioni dialettali locali: Nigärtén (Bolognese), Nigret (Romagna)
Rischio di erosione: elevato
L’areale di diffusione più tipico del vero Negretto è sempre stato il Bolognese, con propaggini fino alla Romagna. Ad oggi risultano 18,5 ettari (dati RER, 2021) investiti con questo vitigno, ma il dato è sicuramente inquinato da attribuzioni non corrette. Marescalchi e Dalmasso (1937) convengono sulla sinonimia tra Negretto e quel Majolo che, nel 1300, Pier de’ Crescenzi affermava essere un’“uva molto
nera, la quale si matura avaccio, e fa i grappoli belli, lunghi e spessi, ed è in sapor dolcissima e fa vin duro e assai conservabile quasi nero, ed è assai fruttifera, ma teme alquanto il mollume, e provien nel piano e ne’ monti, e questa è avuta a Bologna in luoghi infiniti” (De Crescenzi e De Rossi, 1805). Indubbiamente
questo Majolo era molto diffuso nel Bolognese, ma gli elementi riportati non sono sufficienti ad identificarlo con il Negretto bolognese, come pure è difficile risalire all’identità tra questo e il Negretto riscontrato dal Gallesio, nel 1839, in territorio di Faenza (RA) e “che somiglia al Negretto di Ravenna” (Baldini, 1995). Maini (1851), tra le varietà coltivate nelle province di Modena e Reggio Emilia, cita un Magliolo (“grana fitte e rotonde, ma non tanto nere”) che nulla ha a che fare con il Majolo di De’ Crescenzi (uva molto nera), e una Negretta che ha tutta l’aria di somigliare al Terrano o Cagnina. Probabilmente anche il cavalier Aggazzotti (1867) doveva avere in collezione materiali simili a
quelli descritti dal Maini, tanto che il Majolo risulta avere acini con buccia “rosso-rosa, sfumata al verde nell’interno del grappolo” e la Negretta un acino “alquanto ovale, di giusta grossezza, (15 millim.) non affatto opaco”, come il Terrano o Cagnina. È solo nel fascicolo XII del “Bullettino ampelografico” (Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, 1879), che si trovano le prove documentate del fatto che, a fine Ottocento, il Negrettino era il vitigno prevalente nei vigneti specializzati del Bolognese. A inizio Novecento, poi, il Molon (1906) cita un Negretto di Forlì che presume essere sinonimo di Canaiolo nero
e un Negretto che egli ritiene sinonimo di Neretto di Marengo, a riprova della enorme confusione che si celava dietro la denominazione, tanto più che, alcuni anni più tardi, il Marzotto (1925) riferiva che “la Commissione Ampelografica di Forlì concluse col ritenere la Cagnina nera e il Negretto sottovarietà molto affini col Negrettino”, mentre la Commissione ampelografica di Bologna stabilì che i termini Morina o Moretta identificavano un vitigno diverso dal Negrettino (sinonimi errati). Sempre Marzotto riporta, poi, un interessante passo tratto dalla monografia del Cavazza, in cui asseriva che “Il Neretto o Negretto, sinonimo di Negrettino nel Bolognese, è diverso dal Neretto o Moretto di Alessandria e di Marengo (ndr: smentendo Molon). È il vitigno a frutto nero più diffuso nella Provincia di Bologna donde si espanse nelle Romagne e nell’Appennino Toscano specialmente nel Mugello”; e Cavazza conosceva molto bene la viticoltura Bolognese (Marzotto, 1925; Cavazza, 1902). In questo areale il Negretto era spesso coltivato in vigneti misti con Barbera, arrivati sino ai giorni nostri, per conferire all’uvaggio zucchero e colore.
La confusione sulla denominazione, comunque, è proseguita nel tempo (Manzoni, 1977) e a fine anni ’90 si è dovuto dirimere il caso della errata attribuzione del nome Negretto alla varietà poi denominata Uva Longanesi (Marangoni et al., 2000), vitigno con areale di diffusione intorno a Bagnacavallo (RA), che era stata inizialmente chiamata Negretto sempre seguendo il criterio dell’attribuzione del nome a uve non meglio identificate ma con una colorazione particolarmente scura della buccia.
Caratteristiche del vitigno
Foglia. Media, cuneiforme, con lembo a gronda, poco bolloso, e nervature verdi. Seno peziolare chiuso con base a V, seni laterali superiori poco profondi, o al più medi, a lembi leggermente sovrapposti, con base sagomata a parentesi graffa e talora anche ad U, raramente con un dente. Denti a margini convessi. Pagina inferiore con peli coricati tra le nervature a densità bassa e peli eretti sulle nervature con densità media o poco più. Grappolo. Conico, medio-piccolo, da medio a compatto, spesso con 1 ala peduncolata. Acino sferoidale, medio-piccolo, con buccia mediamente pruinosa, di colore blu-nero, abbastanza consistente. Polpa molle, incolore e senza sapori particolari.
Caratteri agronomici ed enologici. Pianta rustica, con portamento semi-ricadente, produzione buona e costante. Si adatta bene alla speronatura. Germoglia tra il 10 e il 20 aprile, fiorisce nella prima decade di giugno, invaia tra fine luglio e inizio agosto e si raccoglie nell’ultima decade di settembre. Nel passato era tenuto in considerazione per la sua tolleranza all’oidio. Uva da vino, da utilizzare per lo più in uvaggio o da taglio, poiché tende ad avere poca acidità, discreto zucchero e molto colore6.
- A. Stevano, 1925 ↩︎
- A. Stevano, 1925 ↩︎
- Bollettino della società generale dei viticoltori italiani, 1891 ↩︎
- L’Italia Agricola, giornale di Agricoltura n. 13, luglio 1891
↩︎ - Boll. Ampelografico f.X, 1879 ↩︎
- Fontana, Marisa; Pastore, Chiara; Perri, Francesco; Filippetti, Ilaria – Le vecchie varietà locali di vite – 2022 ↩︎