Con il nome Pissotta era coltivata a Lesignana di Modena. Dava molta uva ma mosto poco apprezzato, con un’acidità altissima superata solo dalla Mattacciola. In quelle zone la coltivazione era già scarsa, poi abbandonata, nell’Ottocento1.
Produce vino povero di alcool e ricchissimo di acidità2.
Pisotta. È quasi simile alla Calcatella, se non che ha grani più piccioli; è dolce e tenera, e alquanto più colorita della Calcatella: anch’essa è insipida e fa vino debole, ma però dolce, e non si può inacquare. Quest’uva, come pure la Cacainbrache, e la Maligia, riesce meglio per far sapa, che vino3.
[A Ferrara si coltiva] qualche vitigno ad uva bianca come il Trebbiano, la Forcella e la Pomoria o Pellegrina. Quest’ultima si coltiva nella parte occidentale della provincia , specialmente nel Centese, dove produce un vino agro,allappante, di qualità scadente4.
Nel basso piano è coltivata la pomoria a bacca bianca5.
Che se fra i nostri vitigni ve ne sono di quelli che danno un mosto scadente, quale la Bigarletta, la Posticcia, la Pellegrina ecc., ve ne sono di quelli i quali danno un ottimo prodotto. Che molte uve nostrane le quali sono pressocchè abbandonate hanno mosti ricchi di tutti gli elementi richiesti per dare vini ottimi, e che perciò meritano di essere coltivate e sperimentati i prodotti. Quali p. es. una varietà di Amaraguscia, la Farinella, il Caicadello, ed altre, le quali tutte hanno un ottimo mosto. Che tutti i mosti, che ho potuto analizzare ricavati da uve francesi, qui importate, sono per qualità inferiori e spesso molto inferiori ai mosti delle nostre migliori uve. Essi difettano specialmente nel glucosio e sono più ricchi di materiali azotati. Che il glucosio in essi non ho mai trovato superiore al 18 per cento, mentre i nostri lambruschi hanno il 21 e 22 per cento. Che, qui nel comune, i mosti di stesse uve raccolte da viti coltivate nello stesso sito, a vigna e maritate ad albero, quelli delle uve prodotte dalle viti maritate ad albero sono migliori di quelli ottenuti dalle viti a vigna. Che in generale in pianura, i mosti ricavati dalle uve di viti maritate ad alberi sono più completi di quelli ottenuti dalle uve di viti coltivate a vigna6.
Vecchia varietà locale della Bassa modenese, a lungo confusa con la Spergola, ma erroneamente, in quanto si tratta di due varietà diverse con areali di diffusione ben distinti: Pellegrina nella Bassa modenese e Spergola sui Colli di Scandiano e Canossa7.
Sinonimi accertati: Pissotta, Pisotta, Pomoria Sinonimie errate: Spergola, Sauvignon Denominazioni dialettali locali: Rischio di erosione: molto elevato
Ad oggi la Pellegrina è presente su pochissimi metri quadrati in vecchi vigneti della Bassa modenese. L’azienda Vita di San Felice sul Panaro ha messo a dimora circa mezzo ettaro di vigneto prelevando le marze dai vigneti più vecchi dei dintorni per evitare di perdere i biotipi locali fino ad ora conservati esclusivamente in situ.
Con DM 25 maggio 1970 viene iscritta al Registro Nazionale delle Varietà di Vite (Art. 11, DPR 24-12-1969 n. 1164) la varietà Sauvignon, indicando come sinonimi Champagne, Pellegrina, Spergolina e Piccabon. Da quel momento la Pellegrina aveva cessato di esistere come entità a sé stante ed era stata dichiarata Sauvignon. Con successivi lavori di caratterizzazione si è riusciti a dirimere la questione Spergola-Sauvignon, dichiarandoli vitigni differenti tra loro (Filippetti et al., 2001), lasciando Spergolina e Pellegrina
quali sinonimi di Spergola per motivi bibliografici, visto che in quel frangente non erano state reperite accessioni di Pellegrina da poter verificare.
L’identità tra Spargolina e Pellegrina fu suggerita da Marescalchi e Dalmasso (1937), che nella loro “Storia della vite e del vino” riprendono alcune parti dell’opera di Vincenzo Tanara in cui si tratta di una varietà detta Pomoria o Pellegrina che “fa vino brusco, picciolo e dura assai” (Tanara, 1644) e dicono che questa varietà “è citata da Froio come uva Bolognese; oggi si trova sui colli Reggiani una Spargolina o Pellegrina”. Quindi l’assimilazione tra i vitigni Spergola e Pellegrina è relativamente recente, visto che Tanara si era limitato a citare una “Pomoria, over Peregrina” il cui vino, in effetti, ha tutte le caratteristiche della Pellegrina vinificata in purezza di oggi. Nel 1927 sulla rivista “L’Italia Agricola” si legge, riferito ai vitigni delle province di Modena e Reggio, che la Pellegrina è “coltivata nella bassa verso il confine bolognese, col suo vinetto agro ma serbevolissimo, ottimo per dissetare se allungato con acqua”. La Spargolina, invece, viene collocata al colle e in particolare come ingrediente per i vini di Scandiano, Casalgrande e Albinea (Toni, 1927)8.
Andando più indietro nel tempo, il conte di Rovasenda cita una Spargoletta bianca, coltivata a Sassuolo di Modena, e una Pellegrina o Pissotta fra le uve bianche di Mirandola, senza indicare relazioni tra queste varietà (Rovasenda, 1877). Questo potrebbe ragionevolmente far supporre che esisteva un’uva di colle, forse riconducibile a Spergola, che nulla aveva a che spartire con la Pellegrina della Bassa modenese.
Sempre in quel periodo viene dato alle stampe il “Contributo all’ampelografia Modenese” di Malavasi, in cui le descrizioni di Spergolina (Spargolina?) e Pellegrina (Pissotta) ritraggono due vitigni ben differenziati (Malavasi, 1879). Anche Francesco Aggazzotti (1867) offre una descrizione piuttosto dettagliata di Pellegrina (San pelgrina, Pissota nel Carpigiano), in cui molti elementi riportano alle accessioni arrivate sino a noi, come ad esempio il grappolo corto, l’acino grossetto, abbastanza pruinoso, ricco di succo, il raggiungimento di tenori zuccherini non elevati a maturità. Sebbene Aggazzotti affermi che Pellegrina presenta caratteri che la rendono particolarmente idonea alle pianure nebbiose della Bassa modenese, fa un accenno ai fruttaioli di Livizzano, che la vendevano come uva da serbo, il che lascia supporre che fosse coltivata pure in collina.
Interessanti anche le descrizioni riportate nel Catalogo del Maini (1851), di metà Ottocento, che riprendono le osservazioni del Vicini (1752) e tratteggiano due vitigni chiaramente distinti, con un curioso rimando a Vernaccia per quanto riguarda la Spargoletta. Nel fascicolo XIX del “Bollettino ampelografico”, inoltre, viene attestato l’utilizzo della Pellegrina pure come uva da tavola e da serbo, sul mercato di Finale, uno dei mercati della provincia di Modena su cui erano portate le uve “allo scopo speciale di venderle come uve da tavola” (Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, 1885).
Solo intorno al 2013-’14 è stato possibile accertare la differenza genetica tra Spergola e Pellegrina (tabella profili genetici), nonostante le analisi ampelografiche e ampelometriche avessero ravvisato una certa somiglianza tra i due vitigni, giustificando gli equivoci insorti tra gli ampelografi del passato. Un’interessante relazione da approfondire è emersa a livello genetico tra Pellegrina e Uva Tosca N. che sembrano legate da una parentela diretta.
Caratteristiche del vitigno
Foglia. Apparentemente quasi tondeggiante, medio-piccola o piccola, con bollosità fine e me-dia, seno peziolare a V o a parentesi graffa, generalmente chiuso, talora con uno o due denti. Seni laterali superiori a U o a parentesi graffa, con lembi leggermente sovrapposti. Denti con margini convessi, non troppo pronunciati. Peli coricati tra le nervature con densità tendenzial-mente bassa, mentre i peli eretti sulle nervature hanno densità elevata. Grappolo. Medio-piccolo o piccolo, tendenzialmente conico, con 1 o 2 ali. Sferoidale, medio o medio-grosso, con buccia mediamente pruinosa, di colore verde-giallo. Polpa molle, succosa.Caratteri agronomici ed enologici. Varietà di buona vigoria, senza particolare sensibilità alle crittogame, mentre è spesso attaccata dal ragnetto. Oggi è impiegata esclusivamente come uva da vino, mentre in passato era tenuta in con-siderazione anche come uva da tavola e da serbo, poiché resisteva a lungo, fino alla primavera successiva alla raccolta, senza andare incontro a marcescenza9.
Vitigni quali la Pellegrina / Pomoria erano stati selezionati per via della loro resistenza all’oidio10.
- E. Ramazzini – Uve Principali della Pianura Modenese, 1877 ↩︎
- A. Stevano, Giornale Vinicolo Italiano n. 26, 1925 ↩︎
- Maini, Luigi – L’Indicatore Modenese n. 14 “Catalogo alfabetico di quasi tutte le uve o viti conosciute e coltivate nelle provincie di Modena e Reggio secondo i loro nomi volgari con altre osservazioni relative” – 1851 ↩︎
- A. Stevano, Giornale Vinicolo Italiano n. 26, 1925 ↩︎
- Ministero di agricoltura, industria e commercio, Bollettino ampelografico, 1879 (CAP X) ↩︎
- E. Ramazzini – Atti della Società dei naturalisti e matematici di Modena, 1866 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti, Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti, Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
- M. Fontana, C. Pastore, F. Perri, I. Filippetti, Le vecchie varietà locali di vite, 2022 ↩︎
- V.Peglion – Le malattie delle piante coltivate cagionate da parassiti vegetali o da agenti inanimati, 1922 ↩︎